Diverse ricerche negli ultimi anni hanno scoperto che alcune sostanze tra quelle che si trovano comunemente nei prodotti solari più diffusi sono presenti nelle barriere coralline di tutto il mondo e sono una delle principali cause della loro scomparsa. Il primo maggio 2018, lo Stato delle Hawaii (Usa) ha promulgato un divieto per le creme che contengono in particolare Oxybenzone e Octinoxate. Si tratta del primo Paese al mondo che prende un provvedimento simile. A poche settimane di distanza l’isola caraibica Bonaire ne ha seguito l’esempio. L’uso di creme che contengono molecole come l’Oxybenzone e l’Octinoxate è fortemente scoraggiato anche in altre aree del mondo. Numerosi parchi nella Riviera Maya del Messico e nella regione circostante vietano qualsiasi crema solare non «biodegradabile». I filtri solari approvati sono tutti a base minerale. Una ricerca pubblicata su Archives of Environmental Contamination and Toxicology ha evidenziato che solo una goccia di ossibenzone in sei piscine e mezzo di acqua è abbastanza potente da provocare sbiancamento, danni al Dna e problemi riproduttivi nelle barriere coralline. La sostanza chimica resistente ai raggi ultravioletti trovata in circa 3.500 creme solari infetta le zooxantelle, le alghe unicellulari per la sopravvivenza della barriera corallina, e ostacola lo sviluppo del corallo.

Ne parliano con il  dottor Joseph Cannillo, biologo nominato nel giugno 2017 fra i membri del Comitato dei benemeriti della Fondazione italiana biologi, laureato in Biologia e Medicina Chiropratica presso il New York Chiropractic College, specializzato in Biologia Molecolare, Omeopatia e Fitoterapia.

Dottor Cannillo, parliamo del rapporto tra i cosmetici solari e l’ambiente.

Nell’industria cosmetica la gran parte del mercato è in mano alla chimica industriale, che propone prodotti realizzati con la classica chimica organica. Nel caso specifico dei solari, i problemi emergono nel caso della presenza di tre sostanze: i benzofenoni, il metylbenziline canfora e le nanoparticelle. Dagli anni ’80 a oggi nei Caraibi si è perso circa il 90 per cento delle barriere coralline. Nei prossimi anni si stima un aumento di turisti anche nel Mediterraneo e questo potrebbe causare problemi simili anche qui. Dobbiamo renderci conto che un quarto dei solari che ci spalmiamo entro venti minuti viene immesso direttamente nei mari. Questo genere di sostanze entra in contatto con i pesci e di conseguenza nella catena alimentare di cui anche noi facciamo parte. I molluschi, ad esempio, le cozze in particolare, sono animali che concentrano le sostanze che si trovano nel mare. Il benzofenone interagisce direttamente con il Dna. Possono alterare gli organismi sia geneticamente che epigeneticamente, cioè certi geni posso essere o spenti o attivati, inducendo malattie anche nei pesci. Potrebbe essere lo stesso problema delle nanoparticelle, che vengono utilizzate nella produzione per dare un buon texture alle creme. Nell’essere umano sono sostanze che creano stress ossidativo, che può portare infiammazioni e problemi cardiocircolatori, tumorali o malattie neurodegenerative.

Potremmo usare sostanze del tutto naturali per proteggerci dai raggi solari?

Dirigo un laboratorio di produzione di fitoterapia ed erbe medicinali e insegno anche a farmacisti nutrizionisti e medici come usare le piante per prevenire prevalentemente malattie, quindi sono di parte. Ma dico lo stesso che in tutto questo si può intraprendere una strada nel naturale, usando ad esempio l’ossido di zinco, ma non in forma nano, e usando anche molte piante che possono aiutare nel creare una barriera contro gli ultravioletti, l’olio di canapa potrebbe essere uno, ma anche l’erba medica o l’alloro. Ci sono principi attivi che si trovano nelle piante con cui si possono produrre cosmetici e creme solari totalmente bio. Certo il prezzo aumenta, sono prodotti che richiedono molta ricerca (a cui non si da ancora abbastanza spazio) e che richiedono l’uso di ingredienti costosi. Ma se sempre più consumatori si orientano verso un acquisto attento le cose potrebbero cambiare, per cercare di proteggere l’ambiente e alterare il meno possibile l’ecosistema.