Di nuovo a São Bernardo do Campo, di fronte alla sede del sindacato dei metallurgici, 581 giorni dopo. Era il 7 aprile del 2018, e Lula, prima di consegnarsi, «a testa alta», alla polizia federale di Curitiba, aveva tenuto proprio lì il suo discorso di lotta, di speranza e di denuncia. Letteralmente sommerso dall’abbraccio del suo popolo, in carcere, quel giorno, non era entrato da uomo sconfitto, ma da leader forte e combattivo.

E ANCORA PIÙ FORTE e combattivo è apparso ieri, dopo 19 mesi di calvario, lanciando da São Bernardo, di fronte a un’enorme moltitudine di sostenitori, un messaggio nuovamente di lotta, di speranza e di denuncia.
Di attacchi Lula ne ha sferrati molti: contro la Globo, la «canaglia» Moro, Dallagnol, la Lava Jato; contro Bolsonaro, accusato di governare per le milizie di Rio, e contro il suo governo anti-popolare, contro il ministro Guedes, «distruttore di posti di lavoro». Ma assicurando di non provare odio né sete di vendetta: «Sono tornato», ha detto, ma solo con l’obiettivo di riscattare quel Brasile «che era rispettato e ammirato nel mondo intero».

 

São Bernardo do Campo ieri (Afp)

 

COSA SUCCEDERÀ ORA è presto per dirlo. Di certo Lula, che ha annunciato di voler percorrere il paese per preparare la vittoria della sinistra nel 2022, creerà scompiglio sulla scena politica, trasformandosi, anche indipendentemente dalla sua eleggibilità futura – per questa bisognerà attendere l’esito dei ricorsi presso le istanze superiori di giustizia – nel vero avversario di Bolsonaro. Il quale non ha perso tempo ad attaccarlo, definendolo una «canaglia momentaneamente in libertà» ed esaltando il ruolo svolto dall’ex giudice Sergio Moro, senza il quale, ha detto «non starei qui». E dunque riconoscendo che Lula, se avesse potuto candidarsi, lo avrebbe sconfitto.
E di certo l’ex presidente, che già nel primo video su Instagram postato dopo la sua scarcerazione, ha ribadito il suo impegno «a liberare il Brasile da questa follia che sta avvenendo nel paese», potrà offrire un contributo importante al compito di rafforzare una finora fragilissima opposizione. Tanto più se confermerà, come ha assicurato, di aver davvero lasciato la prigione «più a sinistra» di quando vi era entrato.

 

L’arrivo di Lula a São Bernardo do Campo ieri (Afp)

 

MA, DOPO LA FESTA più che giustificata, e al di là della tentazione di una parte della sinistra di trasformare Lula in una leggenda – dimenticando i non irrilevanti limiti della sua azione di governo – le forze popolari sono chiamate a operare davvero una svolta. Dopotutto, come già è stato evidenziato, se l’ex presidente è uscito dal carcere – e ancora senza il riconoscimento della sua innocenza – è solo per iniziativa di chi – la Corte suprema appunto – ha giocato un ruolo non indifferente nella farsa giudiziaria che gli ha impedito di candidarsi. E non certo per effetto di una potente mobilitazione dal basso come quella che in Cile sta minacciando realmente di spazzare via lo status quo. Un deficit di combattività, quello registrato in Brasile, in buona parte riconducibile proprio ai limiti dei governi del Pt.