Le vite degli altri sono sempre più facili da raccontare. Basta spiarle, per spiegarle non serve capirle. Due sere fa è toccato a Leonardo Spinazzola, la storia amara nella serata felice dell’Italia del pallone. Qualcuno piangeva di gioia, lui di rabbia e paura e infinita tristezza. Mentre l’Italia continuerà a girare per l’Europeo, Spinazzola è già tornato a casa ed è probabile che da casa vedrà la semifinale di martedì, quella che alle 21 italiane (le 20, ora di Londra) metterà l’Italia di fronte alla Spagna. Si giocherà a Wembley, potrebbe sembrare ridondante, ma è ormai palese che a nessuno o quasi frega un accidente del fuoco del Covid che cova sotto la cenere, della variante inglese e di tutto il resto. Come dire: la vita ha pur sempre i suoi imprevisti. Si potrebbero prevenire, ma non è la scelta fatta per questo Europeo ovunque, nella pandemia.

POI CI SONO quegli imprevisti che non puoi prevenire, evitare, ridurre al minimo. Spinazzola lo sa, ha solo 28 anni, ma si è già fatto male ovunque, quando giocava nell’Atalanta ed era praticamente un «bambino», alla Juventus, alla Roma. Due sere fa, nella notte che faceva grande l’Italia, Spinazzola è diventato grandissimo, anche sdraiato su una barella, pieno di lacrime e con un tendine d’Achille rotto, che lo terrà fuori dai giochi per più o meno quattro mesi. Ci sono state le feste nelle piazze e in campo, l’Italia ha le sue notti magiche ma non sono una novità, esistono già dagli anni Novanta. La novità semmai è un’altra: nessuno dimentica «Spina», se fa sereno o piove, nella salute e nella malattia. Lo dicono i messaggi, venerdì sera, quando non è neppure mezzanotte e sui siti, dal manifesto a Chiamarsi bomber, chi legge chiede di «Spina».

Lo dicono i suoi compagni che appena salgono sul volo che dalla Baviera li riporta in Italia spediscono Bernardeschi al microfono, lui va e intona: «Alé/alé/alé/Spina/Spinaa…». No, non è scontato, né retorico o banale. Le vite degli altri sono come le nostre, magari non sempre, ma spesso. Basterebbe provare a capirle, non solo a spiarle. Magari cogliere le sfumature, ricordare quel pomeriggio del 12 giugno, quando una squadra in lacrime si metteva in cerchio, per difendere il dolore di un compagno. Era la Danimarca di Christian Eriksen. Anche la Danimarca è in semifinale, ha battuto ieri la Repubblica Ceca, altra Squadra. Eriksen invece è al mare, un’altra grande notizia. Non finisce qui. Il Portogallo della stella Ronaldo era campione d’Europa ed è stato eliminato. La Francia campione del mondo anche, con un rigore fallito dall’asso Mbappé. I campioni degli altri non sono sempre da invidiare.