Le associazioni europee e africane che si occupano di migranti e di diritti umani, incluso quelle tunisine che hanno vinto il Nobel per la Pace, non sono state accreditate al vertice di La Valletta, pur avendolo chiesto insistentemente. Non possono neanche assistere al dibattito dentro il Mediterranean Conference Centre della capitale maltese tra i capi di Stato e di governo africani e europei chiamati a decidere misure di lungo termine che modificheranno nel profondo gli sviluppi delle rispettive società.

Tutti agli arresti domiciliari, senza libertà di muoversi, divisi i «buoni» dai «cattivi» in base alla nazionalità: così la tecnocrazia immagina la gestione del fenomeno migratorio. Vedremo gli esiti ma già la loro non ammissione, la dice lunga sulla democraticità delle procedure e pare normale solo in un’Europa trasformata in una grande «zona rossa».

Anche perché le organizzazioni della società civile, sia laiche sia cattoliche, che ieri hanno comunque presentato le loro ragioni in conferenze stampa e convegni, rivolgono al summit di Malta sostanzialmente le stesse critiche di fondo: primo, il flusso di profughi non può essere arrestato con muri, fili spinati, guardie di frontiera, per quanto ipertecnologiche, o Hotspot. Secondo, per modificare le motivazioni della fuga di massa delle persone da carestie e guerre e ridare senso di convivenza anche all’Europa si deve adottare un «nuovo ordine mondiale umanitario».

La dizione è stata usata ieri dal Gran Cancelliere dell’Ordine di Malta, Albrect Freiherr von Boeselager, presentando la conferenza «Popoli in fuga dalla guerra: soccorso, assistenza, integrazione» organizzata in preparazione del World Humanitarian Summit dell’Onu previsto a Istanbul a maggio.

«La situazione per i migranti sta diventando sempre più disperata: con l’arrivo dell’inverno queste persone sono esposte a rischi maggiori per la loro salute. Erigere muri non servirà a gestire questo fenomeno», ha detto von Boeselager. E Sandro Gozi, sottosegretario agli Esteri di Palazzo Chigi, ha ammesso che «usare la parola emergenza per definire il fenomeno dei migranti significa o non capire la situazione o essere in mala fede o fare demagogia».

A trarre le conclusioni di questo ragionamento e a proporre altre strade d’intervento rispetto a quelle dei rimpatri forzati e degli aiuti ai paesi africani e mediorientali condizionati alla limitazione dei flussi di migranti, che sono i caposaldi della nuova politica di cooperazione studiata dai tecnocrati di Bruxelles, è un cartello di associazioni, ong e sindacati di cui fa parte anche l’Arci e la Cgil.

Ieri i rappresentanti italiani di questo cartello hanno illustrato a Montecitorio la dichiarazione comune con cui contestano l’approccio del summit euro-africano sulla migrazione di Malta, che – dicono – sta esponendo l’Europa a un drammatico fallimento. In particolare, si legge ancora nella «chiamata urgente per i leader europei e africani», è inquietante che le negoziazioni bilaterali, che si tengono a La Valletta parallelamente all’agenda ufficiale del vertice siano nell’ombra, oscurate da una cappa di riserbo. Un do ut des senza reale trasparenza, che lascia trasparire il mantenimento di logiche di corruzione molto diffuse nei rapporti post e neo coloniali.

Anche secondo Lia Quartapelle, coordinatrice (renziana) dell’intergruppo parlamentare sulla cooperazione internazionale, la condizionalità degli aiuti ai paesi africani semmai deve riguardare il rispetto dei diritti umani e delle libertà civili, incoraggiando l’evoluzione dei regimi ora dittatoriali come l’Eritrea. Lo scopo degli aiuti – ripete Quartapelle – deve essere facilitare la rimozione delle cause che spingono tante persone a fuggire dalla loro terra.

L’obiettivo della Ue è invece fermare la migrazione cosiddetta irregolare ma questo con interventi meramente repressivi o «dissuasori», senza offrire alternative concrete di accesso alla mobilità legale, in linea con i processi di Rabat e Khartoum, spiegano le ong.

«Sono state lacrime di coccodrillo quelle dei governanti europei sulla morte del piccolo Aylan Kurdi», sbotta Filippo Miraglia dell’Arci, che elenca le proposte da inviare al summit e al governo: accessi legali e corridoi umanitari, ripristinare le regole d’ingaggio di Mare Nostrum – rescue – per le missioni nel Mediterraneo, abolire le regole di Dublino «che producono clandestinità e nuove Gestapo negli hotspot», una legge europea sul diritto d’asilo, un piano di accoglienza europeo in modo da eliminare i campi profughi lungo le frontiere, abolire la Bossi-Fini. «Perché chi fugge da fame e carestia non è un criminale e ha lo stesso diritto di essere accolto di chi fugge dalla guerra».