Ho visto il Muos da vicino. Martedì scorso, 28 maggio, ho accompagnato due parlamentari italiani di Sel, Erasmo Palazzotto e Donatella Duranti, in una visita alla stazione Nrtf di Niscemi, dove è anche in costruzione la quarta stazione terrestre del Muos, il sistema di telecomunicazione militare statunitense. Ed ho visto anche da vicino i militari americani ed italiani, il console Usa, due esperti in telecomunicazioni con i quali mi sono confrontato nella loro lingua madre su aspetti tecnici, durante un briefing che si attendeva durasse poco – il tempo di proiettare diapositive di una presentazione generalista e già nota – e che invece si è protratto a lungo.

La disponibilità e la correttezza di chi ci ha ospitato sono state totali. Dal mio punto di vista di tecnico, però, durante e dopo il confronto, sono rimaste intatte tutte le perplessità che già in altre occasioni abbiamo manifestato, anche con relazioni scientifiche che pure questa volta la delegazione ha consegnato agli esperti americani.
Inutile ritornare sulla mancanza di dati sufficienti per stimare – al di là di misure in certi punti – il reale impatto dei campi elettromagnetici emessi fin dal 1991 dalle antenne già esistenti del Nrtf, ed anche sull’assenza di informazioni sufficienti per determinare l’impatto del Muos nella zona cosiddetta «di campo vicino», ovvero intorno a 67 km dalla stazione. Anche la discrepanza sulla valutazione delle misure dell’Arpa, secondo le autorità militari al di sotto dei limiti di legge, ma non secondo noi, si è ripetuta, così come anche il contrasto sulla esistenza della stazione Nrtf-Muos all’interno del Parco Naturale della Sughereta di Niscemi, Sito di Interesse Comunitario (Sic). È pur vero infine che l’autorizzazione alla costruzione del Muos – concessa nel 2011 con procedure secondo noi irregolari – è stata revocata dalla Regione Sicilia anche per motivi ambientali, ed effettivamente il cantiere del Muos è ad oggi fermo, in attesa del pronunciamento del Tar sul ricorso che il Ministero della Difesa ha fatto contro la Regione Sicilia per «revocare la revoca». È confermato inoltre che le altre tre stazioni di terra sono in funzione in stati dove i limiti di legge per i campi elettromagnetici non tutelano la popolazione dagli effetti a lungo termine e sono, quindi, cento volte più alti dei nostri.

Sono interessanti, però, altre cose, emerse grazie alle domande che i parlamentari hanno fatto. Innanzitutto abbiamo appurato che il Muos dovrebbe sostituire un altro sistema di telecomunicazioni militari ormai obsoleto, ma che non ha nulla a che vedere con le 46 antenne esistenti che, pertanto, rimarranno attive. Poi, che il sistema Muos è già oggi attivo grazie alla presenza dei satelliti e delle altre tre stazioni di terra, nonostante il blocco dell’ultima stazione a Niscemi non consenta la «copertura» di una parte del globo terraqueo che è ovviamente di estremo interesse strategico per gli Usa.

[do action=”citazione”]Gli stati maggiori aspettano che la revoca della Regione Sicilia sia revocata dal governo[/do]

Proprio per questo i vertici militari sia statunitensi che italiani hanno ribadito l’importanza strategica del Muos e della sua ubicazione a Niscemi. La Sicilia rivestirebbe un ruolo militare unico al mondo per la sua posizione geografica: e l’Italia, con infelice assonanza, è ancora una «portaerei nel Mediterraneo». Bene hanno fatto quindi i parlamentari a ribadire che quella del Muos è una questione che riguarda i processi di militarizzazione forzata che sta subendo la Sicilia, e come occorra impegnarsi per restituire la Sicilia alla sua vocazione naturale di terra di pace e di incontro di culture, sottraendola al ruolo che le nuove strategie di difesa stanno costruendole, di piattaforma militare.
I Comitati NoMuos, che abbiamo incontrato all’uscita della visita, vedono perciò confermata tutta la validità delle loro ragioni e della loro lotta.

Anche davanti a noi i militari si sono detti certi che l’esito dello studio dell’Istituto Superiore di Sanità sul Muos sarà rassicurante: questa sicurezza però contrasta con il loro interesse molto trepidante per questo passaggio, testimoniato da alcune preoccupanti e preoccupate corrispondenze email private che sono venute alla luce in questi giorni (e che non commento).

Martedì sono entrato nella base di Niscemi, così come il 23 marzo scorso ero entrato nel cantiere Tav a Chiomonte, con il ruolo di tecnico consulente: ma in realtà ero anche un cittadino italiano che esercitava il proprio diritto di accesso a parti del territorio nazionale sottrattegli mediante militarizzazione. Voglio che anche gli altri italiani presto o tardi possano esercitare lo stesso diritto: dobbiamo lavorare per questo.