Secondo il dizionario Garzanti per buonista si intende «un atteggiamento nei rapporti politici, di lavoro, familiari, che viene considerato troppo incline alla comprensione e alla collaborazione da chi preferirebbe un comportamento più duro e aggressivo». Nell’accezione comune il significato è andato oltre questa definizione canonica. Buonista, nel nostro paese, è l’uomo di sinistra, un po’ credulone, che si crogiola in buoni sentimenti inconcludenti e spesso anche dannosi.

Si direbbe, utilizzando una antica espressione, che il buonista è un po’ come il medico pietoso che fa le piaghe purulenti.

Da circa vent’anni la destra fascio-berlusconiana, utilizzando questa espressione dispregiativa nei confronti di uomini e donne della sinistra, ha costruito un immaginario diventato il brodo di coltura del razzismo leghista. I buoni sentimenti, la compassione, la solidarietà, sono tutti atteggiamenti da femminucce che non affrontano i problemi e portano alla rovina l’intera società. Questa visione del mondo si è imposta al punto tale da aver contaminato una parte di quella che si definiva come sinistra “storica” o moderata.

Come dimenticare l’onorevole Fassino, in un acceso dibattito da Vespa, vantarsi del governo Prodi cioè dei respingimenti di migliaia di immigrati. Come non ricordare, per arrivare al governo dell’onorevole D’Alema, la partecipazione alla guerra della Nato contro la Serbia. In Italia chi criticava guerre e respingimenti di immigrati è da vent’anni accusato di “buonismo”, di mancanza di maturità e di sicura irresponsabilità.

Questo approccio è stato portato quest’anno fino alle estreme conseguenze arrivando a definire reato il soccorso in mare di persone che stanno per affogare. Ha portato a criminalizzare le Ong e tutti coloro che salvano, accolgono, persone che fuggono da guerre, fame, miseria, degrado sociale e ambientale. Ha portato a boicottare il Comune di Riace solo perché è diventato famoso nel mondo come simbolo di accoglienza. Sono convinto che su questo terreno sia nata e cresciuta quella visione “disumana” della vita e della società di cui su questo giornale ha scritto efficacemente Marco Revelli.

Una weltanschauung che si fonda sulla identificazione totale della vita umana con quella del mondo animale, in cui il pesce grosso mangia il più piccolo, in cui le gerarchie di potere sono naturali e si ripresentano senza soluzioni di continuità. La giustizia sociale, i beni comuni, le libertà di espressione, la solidarietà, la difesa delle diversità (di preferenze sessuali, religiose, ecc.), sono belle parole per anime belle che non fanno i conti con la dura realtà. Secondo questa ideologia la storia umana come quella animale è lotta per la sopravvivenza che determina continuamente “vincitori” e “perdenti”. Da che parte vuoi stare? Dato che vivi una volta sola, che la vita è già piena di stenti e angosce, da che parte vuoi stare ? La risposta è scontata.

Non è un caso che a questa visione della realtà sociale si sia opposto papa Bergoglio e una parte della Chiesa cattolica e di altre confessioni: il figlio dell’uomo, come Gesù amava definirsi, è molto di più di un animale più intelligente degli altri. Come si sono opposti quei compagni per cui essere di sinistra significa innanzitutto essere profondamente umani, credere che sia possibile costruire un mondo migliore, che la storia sia anche storia di progresso sociale e liberazione.

Tutti questi soggetti dovrebbero alzare la testa, essere orgogliosi dei sentimenti di solidarietà, di chi spende la propria vita per gli altri, e chiamare “cattivisti” tutti coloro che ci vogliono fare regredire alla società delle caverne. Soprattutto, non perdere la speranza e agire concretamente per creare le basi di una struttura socio-economica più giusta e rispettosa dell’ecosistema quanto della qualità della vita umana.