Sebbene sia stato pensato e realizzato in un periodo in cui l’arrivo di una pandemia da Covid-19 era ancora al di là di ogni immaginazione, il saggio di Yves Citton, scritto insieme a Jacopo Rasmi, Génération Collapsonautes. Naviguer par temps d’effondrement (uscito da poche settimane per Seuil, pp. 288, euro 23) contiene già in nuce l’analisi delle peculiarità del tempo che stiamo attraversando.
Un tempo di crolli e di profonde modificazioni delle nostre pratiche sociali così come delle categorie con cui pensare noi stessi e il mondo che ci circonda. Un tempo nuovo di cui abbiamo chiesto a Yves Citton di parlarci.

La lezione più evidente che possiamo trarre da questo virus è che ogni sistema produttivo di fatto si fonda sulla salute dei cittadini. Nel momento in cui viene meno la salvaguardia della nuda dimensione fisica dell’individuo ci troviamo di fronte al progressivo crollo di tutte quelle pratiche economiche su cui si regge la «governance» moderna…
Per quanto riguarda la catastrofe in corso, dobbiamo distinguere tre orizzonti temporali, ciascuno con problemi e sfide differenti. L’emergenza di carattere sanitario è l’occasione per evidenziare un secondo orizzonte dalla portata più ampia: il declino del neoliberismo. La catastrofe del virus potrebbe rappresentare una vera e propria rivoluzione in grado di (ri)mettere al centro delle nostre prospettive un servizio di cura e protezione comunitaria accessibile a tutti. Ma anche nel momento in cui riuscissimo a sbarazzarci definitivamente dal delirio neoliberale, cosa che adesso sembra (relativamente) possibile, questa rivoluzione messa in atto dalla pandemia si rivelerebbe una sconfitta se dovesse semplicemente portare al puro «ritorno alla normalità». Dobbiamo infatti fare i conti con un terzo orizzonte, il più ampio: la relazione di tipo estrattivista che abbiamo instaurato con l’ambiente che ci circonda.
La pandemia attuale è il chiaro risultato dei trattamenti aberranti e ecologicamente disastrosi che da più di due secoli stiamo infliggendo agli animali e agli altri esseri viventi. È un discorso valido sia per la Cina con i suoi mercati sul genere Wuhan, ma anche e soprattutto per l’industria agroalimentare capitalista e la sua logica di sfruttamento delle ecozone, con allevamenti mono-specie estremamente vulnerabili rispetto ai virus. Il crollo della biodiversità è la vera malattia di cui il Covid-19 non è che un sintomo. Il nostro vero nemico interno è il produttivismo e chi pensa all’uscita da questa crisi semplicemente in termini di potere d’acquisto, di consumo, di disoccupazione e di impiego, è più pericoloso e nocivo di qualsiasi coronavirus…

Il virus ha innescato non solo una crisi economica, ma anche una crisi culturale, gettandoci nel giro di poche settimane in un mondo diventato improvvisamente estraneo.
Definirei questo nostro momento storico come l’epoca del panico virale, sebbene a grandi linee le nostre reazioni siano abbastanza iscrivibili all’interno di un perimetro di razionalità. Il vero attacco di panico definitivo, che farà crollare il nostro sistema economico – quello bancario – non è (ancora) arrivato. Siamo comunque entrati, senza neppure accorgercene, in uno stato di allucinazione o di sonnambulismo collettivo perturbante. I danni prodotti all’economia capitalista saranno enormi, e sono i nostri stessi governi a esserseli autoinflitti: intanto per l’evidente mancanza di precauzioni nei confronti di una pandemia annunciata; in secondo luogo, per il carattere irricevibile di un discorso che avrebbe apertamente messo il profitto al di sopra della salvaguardia della vita degli esseri umani.

In un’ottica di analisi biopolitica è probabile ipotizzare che le istituzioni democratiche possano essere in qualche modo rese più fragili dall’ascesa di nuove pratiche repressive giustificate dall’eccezionalità della pandemia?
Passata la pandemia, dopo un primo momento euforico di generosità impulsiva, ci sarà probabilmente una tendenza da parte dei diversi governi a sorvegliare in maniera più stretta la popolazione. La caduta libera dell’economia mondiale – con tre miliardi di disoccupati – servirà da pretesto per un’austerity raddoppiata, una competizione esacerbata, una xenofobia decuplicata. Più che un crollo improvviso è ragionevole ipotizzare un impoverimento graduale che metterà progressivamente sotto pressione coloro che si trovano in fondo alla scala molto più di chi risiede ai gradini superiori. Bisogna però dire che all’interno di un quadro di panico le ipotesi ragionevoli non sempre si rivelano esatte, il panico virale è qualcosa di abbastanza incontrollabile e non è detto che non si assista invece all’accelerazione di un certo numero di cambiamenti già in corso in direzione di una nuova lotta alle diseguaglianze, di una nuova solidarietà e una nuova sobrietà.

In questo quadro di crisi culturale, i nuovi media stanno conoscendo una crescita esponenziale in una direzione di bulimia comunicativa sempre più forte. Se prima il consumatore occidentale usciva di casa per comprare centinaia di oggetti, adesso rimane in casa per lanciare nell’etere (e ricevere) centinaia di messaggi, video, immagini…
Il panico virale di cui parlo si trova esattamente nel punto di coincidenza tra tre livelli di viralità: la viralità biologica del pezzetto di codice genetico che si infiltra in una cellula, la viralità informatica dei software maligni che mandano in crash un sistema, e la viralità mediatica che permette la diffusione di immagini, video, discorsi, tweet.
Il panico che sta attraversando il nostro sistema attuale si regge sul fatto che la viralità è al tempo stesso la peculiarità peggiore (quando un virus distrugge i nostri polmoni, quando un malware paralizza il nostro computer) e contemporaneamente la migliore (quando un nostro post, un nostro video, una nostra canzone conoscono una grande diffusione). Il Covid-19 è un virus (biologico) che sta mandando in crash i nostri sistemi informatici, denunciando l’entrata nel capitalismo virale. Per spiegare cosa intendo bisogna pensare alla continuità di un’industria agroalimentare la cui politica di monoculture e di manipolazioni genetiche (vegetali e animali) ci espone a contagi più virulenti che mai, la quale è legata a una governance securitaria che ha il potere di tracciarci come se fossimo veri e propri virus (nemici in uno stato di guerra permanente, prede all’interno delle diverse logiche di competizione consumistica).
E l’ultimo nesso è con la rete mediatica in grado di diffondere contenuti emozionali con un’ampiezza e una velocità mai viste prima sull’onda di incontrollabili contagi. La nostra sfida storica, in questa primavera del 2020, sarà quella di investire in questa viralità mediatica per rovesciare un capitalismo approdato a uno stato di panico virale.

 

BIOGRAFIA

Se ripercorriamo i libri più recenti di Yves Citton – dall’ultimo «Générations Collapsonautes. Naviguer en temps d’effondrements» (scritto con Jacopo Rasmi, Seuil, 2020), e poi a ritroso «Contre-courants politiques» (Fayard, 2018), «Médiarchie» (Seuil, 2017), «Pour une écologie de l’attention» (Seuil, 2014), «Mythocratie. Storytelling et imaginaire de gauche» (2010) – appare evidente come il suo pensiero si riveli estremamente coerente nella creazione di una nuova ontologia ermeneutica che sia in grado di farsi specchio e nello stesso tempo guida di quei processi interpretativi su cui si fonda, di fatto, la nostra contemporaneità. Filosofo politico di punta nel panorama contemporaneo europeo, Citton ha proposto in questi anni una cartografia dei rapporti di forza che strutturano il nostro mondo contemporaneo in cui la politica sembra configurarsi come interscambio di flussi emozionali ben più che come rete di interrelazioni comunicative razionali. La capacità di «creare narrazioni» delle istituzioni politiche, così come di trasformarsi in strutture di canalizzazione dei flussi emotivi che circolano all’interno della nostra società, rappresenta la cartina di tornasole per leggere la realtà che ci circonda. Modalità di captazione dell’attenzione, meccanismi di reciproca costruzione tra pubblico e media, strutture di scenarizzazione del pensiero ideologico – tra i temi più cari a Citton – sono tutti elementi che hanno in comune una riflessione sulla capacità implicita della parola di non essere soltanto un lineare e diretto tramite di conoscenza (cosa che, del resto, non avviene mai perché di fatto non esiste discorso che non sia sempre immerso in una relazione di potere), ma di farsi anche centro di efficacia simbolica, vero e proprio gomitolo di relazioni tra corpo, affetti e organismo sociale. Che si tratti un’elezione presidenziale, della pubblicità di una nuova macchina, o di una pandemia. isa. ma.