Giocare a Song of horror è tornare indietro di almeno una due decadi quando le nostre PS2 o XBox erano invase da giochi horror sulla falsariga di Resident Evil o Silent Hill. La grafica aveva fatto passi da gigante e, di pari passo con le tv sempre più grandi, era sparito anche l’effetto cubettoso a favore di una definizione maggiore degli sprite e delle ambientazioni. Il referente più vicino per questo gioco indipendente, uscito in sordina il maggio 2020, senza nessun clamore, dimenticato e un po’ sfigato, è senza dubbio il sottovalutato Alone in the dark: The new nightmare del 2001. Quindi, già dalle premesse, si capisce che abbiamo a che fare con un videogame classico, con la telecamera fissa/semi dinamica, molti enigmi da risolvere, e soprattutto un impianto più survival e meno da sparatutto, capace di calarci nel buio più assoluto della paura.

Un vero salto indietro nel tempo che, per certi versi, si può associare come intenti al nostrano, bellissimo e lirico Remothered: broken porcelain.
Come se non fosse mai esistito Resident evil 4 e il suo revisionismo action, Song of horror, al pari di Alone in the dark: New nightmare, si approccia al prototipo del genere, Alone in the dark del 1992, apportando sì sostanziali cambiamenti agli schemi collaudati del survival horror, senza però attuare una vera rivoluzione. Il gioco resta ancorato in quella dimensione cristallizzata a vent’anni fa, risultando però, per assurdo, un prodotto tra i più genuinamente terrorizzanti, una cosa che per decenni abbiamo rimpianto dopo la morte graduale di Silent Hill e lo stupro di Resident evil, tra esplosioni e la fusione con Gear of wars.

Song of horror ha una grafica spacca mascelle per gli standard del 2001, ma purtroppo siamo nel 2021, un’epoca nella quale la grafica ha fatto davvero passi da gigante anche nel settore più indipendente. In un’ottica vintage il prodotto resta indubbiamente godibile, anche quando i personaggi hanno la stessa espressione di bambole umanoidi con lo sguardo perso nel vuoto.
Le ambientazioni, gli effetti luce e le atmosfere invece risultano credibili e di grande impatto soprattutto per un gioco che vive al massimo la sua fruizione con le luci spente e le cuffie accese, pronto a far saltare di terrore i suoi giocatori.

Song of horror, uscito al suo lancio, come antologia, con gli episodi rilasciati a distanza di tempo, solo ora, nella versione Complete Edition, con tutti e cinque gli scenari disponibili, riesce a trovare la sua giusta dimensione. Infatti, la forza di questo piccolo gioco indipendente degli spagnoli Protocol Games, è la capacità di crescere man mano che l’avventura avanza, sbattendoci in faccia un orrore di stampo lovecraftiano non indegno de Il Seme della follia di John Carpenter. Per questo approcciarsi ai più deboli capitoli, i primi, può generare nel videogiocatore meno paziente la scelta di abbandonare l’opera. E sarebbe un peccato.

Come nel dimenticato Michigan: Report from Hell o nel divertente Obscure, entrambi, sembra fatto apposta, del 2004, Song of horror permette di giocare all’avventura anche dopo la morte di un personaggio. Così, se quella linea narrativa è persa per sempre, il gioco comunque, come nella vita reale, prosegue con altri personaggi, con una rigiocabilità davvero unica.
Si muore male e facilmente nel gioco, grazie ad una non comune cattiveria sadica da parte degli sviluppatori. Così dietro ad un enigma potrebbe non celarsi la salvezza ma il game over definitivo.

Con più di dieci personaggi selezionabili, un’intelligenza artificiale non peregrina che simula un mostro, chiamato «La presenza», capace di adattarsi al nostro stile di gioco, cinque ambientazioni una più spaventosa dell’altra, Song of horror è un horror low budget che ha il coraggio di avere la dignità di una produzione miliardaria, almeno in fantasia e resa del divertimento.
In più si appresta a sbarcare il 30 luglio in versione fisica, non solo digitale, ma purtroppo, sembra, anche in questo caso, senza la lingua italiana selezionabile. Scelta sicuramente discutile.