«La Somalia sta affrontando la sua peggiore crisi politica degli ultimi anni con il rischio di tornare a una guerra civile, che si aggiunge alla minaccia jihadista di Al Shabaab, alla pandemia e alla carestia diventata ormai endemica».

Con questo discorso l’emissario Onu per la Somalia, James Swan, aveva riferito venerdì al Consiglio di Sicurezza, riunito d’urgenza, sul deteriorarsi della situazione nel paese.

UNA CRISI, QUELLA SOMALA, nata dal mancato svolgimento in febbraio delle elezioni presidenziali e dal prolungamento votato lo scorso 12 aprile dalla camera bassa del parlamento del mandato del presidente Mohammed Abdullahi Mohammed, noto come Farmajo, per altri due anni.

La tensione è arrivata al suo culmine domenica, quando sono esplosi scontri armati tra i miliziani dei clan delle opposizioni e le truppe regolari, leali al presidente Farmajo. In serata decine di sostenitori dell’opposizione hanno manifestato nel distretto di Fagah, a nord della capitale, alla presenza di uomini pesantemente armati, provocando la risposta delle forze di sicurezza e innescando una serie di scontri in numerose aree della città.

COME AL KM4, una zona centrale della capitale, dove Abdirahman Abdishakur Warsame, uno dei leader dell’opposizione, ha detto che la sua casa è stata «attaccata dalle truppe lealiste». Poco dopo si è verificato un secondo confronto a Marinaya, un quartiere vicino a dove risiede l’ex presidente Hassan Sheik Mohamud, altro leader dell’opposizione.

La situazione non è migliorata neanche nella giornata di ieri quando, secondo quanto riporta Al Jazeera, «numerosi miliziani si sono posizionati lungo le principali arterie della città prendendo il controllo di numerosi quartieri, lasciando di fatto al presidente Farmajo il controllo del palazzo presidenziale (nei giorni scorsi bombardato da colpi di mortaio anche dai miliziani di Al Shabaab, ndr) e delle aree limitrofe».

AI QUARTIERI SETTENTRIONALI di Abdiasis e Karan, controllati all’ex presidente Hassan Sheikh Mohamud e dall’ex signore della guerra, Muse Sudi Yalahow, si aggiungono quello meridionale di Shirkole controllato dalle forze di sicurezza «ammutinate» che sostengono il comandante della polizia, Sadiq”John” Omar – licenziato dal governo perché contrario al prolungamento – e quello di Fagah controllato da Saney Abdule, un signore della guerra della regione di Hirshabelle, nella Somalia centrale.

Il governo non ha fornito alcun bilancio ufficiale dei combattimenti. Se da una parte il presidente Farmajo tace, il primo ministro Mohamed Hussein Roble ha dichiarato ieri in una conferenza stampa di essere «deluso dalle violenze volte a destabilizzare la situazione a Mogadiscio durante il mese sacro del Ramadan» ed esortando le forze di sicurezza a «mantenere il loro impegno e proteggere la stabilità della popolazione di Mogadiscio».

Quella dei due anni di prolungamento del mandato di Farmajo si è rivelata una mossa pesantemente criticata anche dalla comunità internazionale, dall’Onu e dall’Unione africana, che da febbraio chiedono «una data certa per elezioni libere con l’obiettivo di uscire dall’impasse politica».

DURISSIME LE REAZIONI interne: il senato, le opposizioni politiche e alcuni governatori delle regioni federali, Puntaland e Jubaland in particolare, hanno prima contestato il prolungamento come «un tentativo di auto-proclamazione da parte di Farmajo» e la scorsa settimana hanno occupato alcune aree della capitale Mogadiscio.