Èdeplorevole che l’appello per una legge elettorale proporzionale di autorevolissimi giuristi comparso su il manifesto non abbia ancora suscitato un massiccio movimento di consensi.

Direi che non capire la centralità (e oggi l’urgenza) della lotta per la proporzionale significa non aver capito come la destra abbia potuto finora vincere e – soprattutto – non capire come essa si prepari a sferrare il colpo finale alla democrazia e alla Costituzione.

Con il maggioritario (un pilastro portante del Piano di rinascita di Gelli) la destra ha potuto gestire la crisi di Tangentopoli, ha mortificato le assemblee elettive sostituendole con la scelta del «capo» (sindaco o presidente di Regione, che essi chiamano «governatore»), ha distrutto con i partiti ogni forma di partecipazione popolare e dal basso, rendendo la politica preda esclusiva dei mass media: senza il maggioritario Berlusconi sarebbe stato impensabile.

In particolare i vari sistemi elettorali con maggioritario, sbarramenti, premio di maggioranza etc., nonostante le varie condanne della Corte (non seguite, incredibilmente, da alcuna conseguenza pratica), hanno impedito al conflitto sociale di rappresentarsi nel Parlamento, escludendone soprattutto la sinistra di opposizione e causando una continua diminuzione del numero dei votanti (era del 90,6 nel 1979, e arrivato nel 2018 al 72,6 e alle amministrative talvolta vota meno del 50%).

Con il taglio del numero dei parlamentari (dove sono adesso quelli che l’hanno votato spiegando che esso avrebbe comportato la proporzionale?) questo quadro anti-democratico si aggrava, e il prossimo colpo che si prepara è l’elezione diretta del capo del Governo, cioè la fine del carattere parlamentare della Repubblica.

La Costituzione ha voluto il voto «personale ed eguale, libero e segreto» (art. 48), ma non è eguale un voto che non elegge nessuno se non supera un’arbitraria soglia di sbarramento (il 3% rappresenta oltre un milione di voti, perché mai questi elettori non debbono avere alcuna rappresentanza?).

E non è eguale un voto che elegge più parlamentari di un altro voto, grazie a un premio di maggioranza, che serve a rendere maggioranza in Parlamento chi è minoranza nel voto. E non è affatto libero un voto che non si può dare al proprio partito se questo partito è escluso di fatto dalla «corsa» maggioritaria, così che si è costretti a votare, pistola puntata alla tempia, solo per impedire che vinca il peggiore. È un tale meccanismo perverso che ha spinto tanti al voto «utile» “sennòvienesalvini”, con il bel risultato di trovare oggi il proprio voto (utile?) in uno stesso Governo con Salvini. Per anni è stata scatenata contro la proporzionale una unanime campagna di stampa, che ha fatto breccia anche nel senso comune.

Ma oggi quegli argomenti contro la proporzionale si rivelano per quello che sono: falsità. Anzitutto l’argomento principe di voler ridurre il numero dei partiti: è un falso. Con la proporzionale c’erano in Parlamento al massimo 8 o 9 partiti, votati trasparentemente dai rispettivi elettori; con il maggioritario ce ne sono ora più di una ventina: oltre ai più noti, roba come Cambiamo!-Popolo protagonista, Noi con l’Italia-Usei-Adc, Europeisti-Maie-Psi, Azione-+Europa-Radicali, Cd, L’alternativa c’è, Idea e cambiamo, Facciamo Eco-Federazione dei Verdi, etc. Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere. Ciò accade perché i piccoli partiti, o quelli inventati e inesistenti, si raggruppano nel voto per godere del maggioritario e dopo le elezioni si separano.

Ma c’è di peggio: sondaggi alla mano, è certo che la destra vincerebbe a man bassa nei collegi maggioritari, perché il potere di votarsi a vicenda della destra è insuperabile, e insomma mentre sarà assai difficile sommare i voti di 5S e Pd (per non dire dei voti a sinistra del Pd), a destra si sommano sia i nazi-fascisti sia i mafiosi. La vittoria elettorale, inevitabile con il sistema elettorale attuale, darebbe alla destra i numeri non solo per governare ma anche per cambiare la Costituzione. L’unica speranza di battere la destra è dunque la proporzionale, che divida la destra e dia rappresentanza parlamentare alla sinistra di opposizione, altrimenti relegata nell’astensione.

È mai possibile che la dirigenza del Pd non comprenda questi elementari ragionamenti? Poiché non è mai una buona cosa attribuire agli altri l’idiozia, c’è una sola spiegazione possibile, cioè che il Pd consideri il governo Draghi un governo Costituente.  Dopo aver unito tutti intorno ai veri capisaldi (l’Europa del capitale finanziario, la fedeltà agli Stati uniti, l’obbedienza ai poteri forti, etc.) all’interno di questo nuovo perimetro c’è posto anche per la destra, che dunque potrà governare, finalmente in un regime di alternanza tra identici.

Ecco dunque la vera posta in gioco: una grande iniziativa unitaria, trasversale e dal basso per la democrazia, una «Lega per la proporzionale», è necessità di oggi, non di domani. Se Gianni Ferrara fosse ancora fra noi, credo che sarebbe l’anima e la mente di una tale iniziativa.