Nei Territori occupati è partita l’organizzazione delle elezioni legislative e presidenziali, il 22 maggio e 31 luglio, e il premier Shttayeh chiede all’Ue di inviare in quell’occasione un contingente di osservatori internazionali. L’Anp conferma la volontà di tenere le consultazioni ma i dubbi restano. Non è peraltro prevedibile in alcun modo se gli elettori saranno in grado di andare ai seggi elettorali di fronte all’incertezza sull’avvio di una campagna vaccinale di massa contro il coronavirus in Cisgiordania e Gaza. L’epidemia non risparmia i palestinesi, ogni settimana ne contagia migliaia e ne uccide diverse decine. Ieri, dopo il via libera del ministero della sanità e l’annuncio dell’ambasciatore dell’Anp a Mosca Abdel Hafiz Nofal, si attendeva il primo simbolico arrivo, attraverso la Giordania, delle prime 5000 dosi del vaccino russo Sputnik V. Poi si è appreso che la data dell’arrivo «è rinviata di qualche giorno».

Un funzionario dell’Anp ieri sera ci diceva, chiedendo di restare anonimo, che «ogni giorno se ne sente una nuova, la realtà è che i vaccini non ci sono: Israele non li dà ai palestinesi e le aziende farmaceutiche fissano per ogni dose un costo troppo elevato per le nostre finanze. Le uniche garanzie ci arrivano dal programma Covax dell’Oms». Due dosi dello Sputnik V, necessarie per una vaccinazione, costano 18 dollari, un prezzo inferiore a quello dei vaccini Pfizer e Moderna ma ancora troppo elevato per l’Anp. Ramallah, ci spiegava ancora il funzionario governativo, lavora a un accordo con Mosca per la fornitura di 100mila fiale destinate a immunizzare a Gaza e in Cisgiordania «se va bene, a fine febbraio, più probabilmente a marzo, solo il personale medico, una parte degli anziani e di coloro che soffrono di malattie croniche».

Sul versante occidentale della linea verde armistiziale, Israele intanto prosegue la sua campagna vaccinale ad alta velocità grazie agli accordi speciali raggiunti con la Pfizer – ha immunizzato sino ad oggi il 28% dei suoi 9,3 milioni di abitanti – ma che ad un mese dal suo inizio non ha ancora portato a un calo del contagio. Due giorni fa si è registrato un nuovo numero record – 10mila positivi – e ieri il governo ha esteso fino al 31 gennaio il lockdown del paese in vigore da due settimane. La situazione vaccinale opposta, tra Israele e i Territori palestinesi occupati, è giudicata da più parti una discriminazione inaccettabile. Dopo la denuncia di Amnesty International, Human Rights Watch e altri centri per i diritti umani che chiedono a Israele, potenza occupante, di fornire i vaccini ai palestinesi sotto occupazione militare, è intervenuto anche l’ufficio dell’Oms per i Territori. «Abbiamo sollevato (con gli israeliani) una serie di preoccupazioni sulla salute pubblica e riguardo a questa distribuzione dei vaccini e di accesso ineguale ad essi», ha riferito Gerald Rockenschaub, capo dell’ufficio locale dell’Oms. Senza entrare in questioni politiche Rockenschaub ha spiegato che dal punto di vista della salute pubblica è interesse anche di Israele che i palestinesi sotto occupazione siano vaccinati, considerando che nel suo territorio entrano 140.000 lavoratori della Cisgiordania.

Il governo Netanyahu non reagisce più di tanto alle critiche. Ipotizza, attraverso il suo ministro della sanità Edelstein, forniture di vaccini ai palestinesi ma solo quando gran parte della popolazione israeliana sarà stata immunizzata. Più di tutto ricorda che secondo i termini degli accordi di Oslo firmati tra il 1993 e il 1995, è l’Anp che ha la responsabilità dell’assistenza sanitaria della popolazione civile palestinese sotto occupazione. Nata per costruire lo Stato di Palestina in cinque anni – tra il 1994 e il 1999 – l’Anp a distanza di un quarto di secolo non solo non ha potuto realizzare il suo obiettivo ma emerge sempre di più come una semplice gestore di servizi pubblici – peraltro di livello mediocre per mancanza di risorse – che consente a Israele di continuare a occupare i Territori senza il peso di dover assistere oltre cinque milioni di civili palestinesi.