Abbiamo vinto», e ancora «Hanno trionfato l’Italia e la dieta mediterranea». Questi i titoloni che riempiono i quotidiani online e delle principali agenzie di stampa del nostro paese appena è stato ufficializzato il 16 febbraio il risultato del voto al parlamento europeo al piano di azione anticancro.

Il rischio piuttosto concreto che correva il vino era che il suo consumo fosse assimilato a quello delle sigarette, con tanto di etichette shock sul modello di ciò che i tabagisti possono ammirare sui loro pacchetti. E, invece, il principio che per il vino il consumo e l’abuso siano due cose differenti è stato accolto da un voto a maggioranza. Per qualche giorno il mondo della produzione nostrana è stato attraversato da una sorta di terrore, quasi fosse un giudizio divino che potesse cambiare le magnifiche sorti progressive dell’intero comparto. Visto che neppure il Covid era riuscito a mettere in crisi le nostre esportazioni il timore che questa decisione potesse infliggere un duro colpo economico era più che lecito.
Ora, il sollievo è comprensibile, un po’ meno sbandierare la cosa come avessimo vinto i mondiali di calcio. Questo perché il dado, ormai, è tratto, e il dubbio che il vino possa essere dannoso per la salute è instillato nelle menti dei più. Quindi se vogliamo davvero rendere un servizio utile a questo prodotto agricolo dovremmo cominciare a studiare la situazione con lungimiranza. Intanto smettendola di sbandierare dubbi studi scientifici che dicono che il vino fa bene alla salute – pensate alle ultime uscite che addirittura lo presentavano come antidoto al Covid – perché le reazioni a queste affermazioni sono giustamente indignate. E, poi, iniziare a ragionare sull’introduzione in etichetta di maggiori informazioni che premino i produttori che il vino lo fanno davvero solo con l’uva, senza il ricorso a sostanze «dopanti» lecite, ma che qualche piccolo dubbio sulla loro salubrità lo fanno venire. Infine, bisognerebbe rivoluzionare completamente la comunicazione di questo universo mettendo al centro di tutto l’utilità stessa che la coltivazione dell’uva – fatta in un certo modo – può avere per il nostro pianeta. I vignaioli più illuminati, quelli che utilizzano sistemi biologici, si impegnano a fondo per aumentare la fertilità dei suoli e per diminuire l’impatto ambientale del loro lavoro. Inoltre, molti territori sono mantenuti in piedi grazie alla presenza della vite, non solo i casi estremi e esteticamente struggenti come le Cinque Terre, la Mosella o la Costiera Amalfitana, ma anche zone magari meno famose ma che grazie alla viticoltura gestiscono meglio le acque – quindi durante le piogge intense non rischiano alluvioni – o di contro evitano l’insorgere di incendi distruttivi – vedasi Grecia e California. Il viticoltore è difensore del paesaggio e presidio nella rivitalizzazione di zone economicamente marginali. Interi territori, se non ci fosse la produzione del vino sarebbero spopolati, molti borghi italiani vedono come unica attività commerciale la presenza di una cantina.

Ecco allora che allargando la nostra prospettiva ad argomenti di questo tipo e ponendo al centro della nostra attenzione finalmente una campagna che creda nel consumo culturale del vino e non lo usi solo come specchietto marketing tanto così per pulirsi la coscienza, si potrebbe evitare di finire sul banco degli accusati a fianco delle sigarette o di super alcolici industriali creati ad arte per far sballare i ragazzetti.

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