Sebbene la crescita economica sembri affacciarsi alle porte dell’Italia, con la sensazione di una qualche normalità che da qualche tempo non si respirava nel nostro Paese, la struttura e la dinamica sottesa all’aumento del PIL è, per assurdo, sempre più lontana da quella media europea. La pubblicistica descrive un Paese uscito dalle secche della crisi. I dati su PIL, occupazione e investimenti dell’Italia per il 2017 e il 2018 sarebbero migliori delle previsioni d’inizio anno. Il PIL è prossimo all’1,5%, il tasso di disoccupazione è vicino all’11,4%, gli investimenti potrebbero aumentare dello 0,7%. Quindi, il Paese sarebbe uscito dalla più lunga e profonda crisi economica della sua recente storia.
Come al solito, parafrasando un vecchio detto cinese, «quando il dito indica la luna, lo stolto guarda il dito». Sembra di vivere le scene del film Orwell 1984, cioè una società governata da un Grande Fratello che nessuno ha mai visto di persona, ma che tiene sotto controllo la vita di tutti i cittadini. Infatti, qualcuno osserva che le cose non sono così limpide. Perfino il bollettino della Banca centrale europea guidata da Mario Draghi ieri ha incredibilmente confermato i sospetti, sminuendo la crescita italiana e soprattutto la parte riguardante l’occupazione. Chissà che ora qualcuno se ne accorga anche in Italia. Non solo a Francoforte.
Innanzitutto, l’apporto della domanda estera è stato nullo giacché le importazioni hanno più che compensato le esportazioni. In parole più semplici, la nostra competitività non è migliorata in nessun modo. A proposito della crescita degli investimenti dobbiamo intenderci molto bene. La ripresa degli investimenti è stata determinata dal recupero della spesa per macchine e attrezzature (+0,6%), ma solo una parte di questi beni è prodotta in Italia. Infatti, l’occupazione legata a questo settore (capital goods) è rimasta stabile e/o diminuita. Evidentemente qualcosa non funziona nell’analisi complessiva. I consumi nazionali, inoltre, crescono solo dello 0,2%, molto meno della crescita del PIL. La polarizzazione del reddito nel mercato, evidentemente, condiziona la crescita dei consumi (A. B. Atkinson).
Qualcuno, giustamente, potrebbe sostenere che dopo tanti anni di valori negativi abbiamo qualche indicatore positivo. Attenzione al proverbio cinese. Sebbene la crescita del PIL dell’Italia sia migliorata, la minore crescita rispetto alla media europea è aumentata, quindi siamo peggiorati, così come la distanza riguardante gli investimenti, quindi crediamo di meno nel futuro, e peggio ancora è andata rispetto alla dinamica dei consumi, quindi abbiamo una distribuzione del reddito peggiore di quella di altri Paesi.
Il punto politico ed economico dell’Italia è proprio questo: durante la crisi internazionale il Paese avvicina i valori dei Paesi europei, quando il sistema economico nel suo insieme migliora, l’Italia si allontana ancora di più. Usando la metafora di Don Milani: oggi usi la bicicletta e sei più veloce di quando usavi i piedi. Hai la sensazione di stare meglio perché ti senti un po’ più ricco, ma i ricchi, hanno sostituito la bicicletta con una moto e sono, quindi, molto più veloci di te rispetto al tempo che tu usavi i piedi e loro la bici …
L’Italia vive la stessa situazione, ma qualcuno vorrebbe farci credere che stiamo molto meglio di prima. Il primo Ministro rivendica la possibilità di strappare delle condizioni migliori all’Europa per quanto riguarda il deficit, ma non vede la distanza che aumenta rispetto ai paesi europei più ricchi. Cecità? Il potere ignorante (Leon) non è mai stato così attuale come durante questi giorni.
Inoltre serve un po’ di storia a chi governa il Paese. Sicuri che le cose sono migliorate?
Facendo 100 (2007) tutti gli indicatori economici dell’Italia, nel 2017 troviamo questa situazione: investimenti 75; PIL 94; consumi 96; esportazioni 110, ma il saldo commerciale, come già ricordato, è nullo.
È iniziata la campagna elettorale, ma non è accettabile il clima da Orwell 1984.