Il giorno dopo il colpo di mano della Ragioneria dello Stato sull’adeguamento automatico dell’età di pensionamento all’aspettativa di vita, tocca al presidente dell’Inps Tito Boeri prendere le difese della normativa blindata dalla riforma Fornero, mentre il fronte politico (bipartisan) e sindacale torna a ribadire la necessità di – almeno – un congelamento per ragioni «di emergenza sociale» del salto di 5 mesi che porterebbe ad andare in pensione a 67 anni dal primo gennaio 2019.
Come denunciato da Il Manifesto, con il Rapporto «Le tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario» l’«organo centrale» per «la rigorosa gestione delle risorse pubbliche» ha anticipato il parere del ministero dell’Economia a cui fa capo: nella prossima manovra non se ne parla proprio. La motivazione adotta però grida vendetta: si ritornerebbe «nella sfera della discrezionalità politica con conseguente peggioramento della valutazione del rischio Paese» mentre la riforma «introdotta nell’ordinamento su specifica richiesta della Commissione e della Bce» lo aveva «ridotto».
«Un intervento a gamba tesa», risponde Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro della Camera e autore – assieme al parigrado del Senato Maurizio Sacconi – della proposta di congelamento.
A difendere la Ragioneria arriva invece Tito Boeri: «È pericolosissimo toccare» il meccanismo che adegua l’età di pensionamento all’aspettativa di vita, «perchè può avere sia effetti in avanti che all’indietro», spiega il presidente dell’Inps ribadendo la sua stima sul costo che deriverebbe dalla cancellazione dell’automatismo: ben «141 miliardi di euro».
Ma nessuno dei proponenti – Cgil, Cisl e Uil, Damiano, perfino Sacconi – ha mai parlato di cancellazione dell’automatismo, bensì di «congelamento» dello scatto in vigore dal primo gennaio 2019. Come già stimato da Il Manifesto qualche settimana fa, il costo annuale del congelamento dello scatto sarebbe tra 1,2 e 1,5 miliardi visto che equivarrebbe a mandare in pensione 300mila persone in più l’anno.
L’altra ragione adotta da Boeri per il suo «No» è lapalissiana: «Anticipando l’uscita rispetto al previsto si andrebbe in pensione con meno contributi e quindi con un assegno più basso: non è neanche nell’interesse dei lavoratori più deboli. Se possono andare in pensione prima, sappiamo che saranno i datori di lavoro stessi a spingerli a ritirarsi prima».
Il presidente dell’Inps cerca in questo modo di alimentare lo scontro generazionale anziani-giovani, sostenendo che l’adeguamento è già stato «digerito» dai giovani e favorirebbe solo gli anziani. Ma è vero esattamente il contrario: proprio il tappo che tiene al lavoro gli anziani impedisce ai giovani di trovare lavoro.
Per il segretario confederale della Cgil Roberto Ghiselli «l’Italia si trova già ora ad avere l’età di pensionamento più alta in Europa (è di 65 anni in Austria, Belgio, Danimarca, Regno Unito, ndr). L’intervento della Ragioneria è del tutto inopportuno perché ad essa spetta il compito di vigilare sull’affidabilità dei conti dello Stato, non di intervenire sulle scelte politiche che la determinano. Con i tagli alle pensioni – continua – si è voluto fare cassa seguendo la strada più semplice anche se la più iniqua. È invece necessaria una vera riforma delle pensioni che renda il sistema non solo economicamente ma anche socialmente equo e sostenibile».
Domenico Proietti della Uil specifica la proposta sindacale: «Sterilizzare l’incremento previsto nel 2019 e, contemporaneamente, studiare la reale situazione nei diversi settori lavorativi». Per Maurizio Petriccioli della Cisl il «rinvio è necessario e sopportabile e trova un consenso trasversale nelle forze parlamentari».
Di «ribellarsi al diktat della Bce» parla Giovanni Paglia di Sinistra Italiana mentre gli unici a difendere la Ragioneria sono quelli di Forza Italia: «Riconosce che fu Berlusconi a mettere in sicurezza il sistema pensionistico». Dimenticando di dire che lo fece – come Monti e Fornero – a spese dei pensionandi.