Israele e Hamas continuano a scambiarsi l’accusa di aver provocato ieri il fallimento della tregua umanitaria di 72 ore che avrebbe dovuto aprire la strada a un possibile accordo di cessate il fuoco permanente. E ad aggiungere benzina sul fuoco è stato l’attacco contro un’unità israeliana che si è conclusa con l’uccisione di due soldati e la cattura di un tenente della Brigata Ghivati, Hadar Goldin, 23 anni. Il Segretario di stato John Kerry ha già deciso per Israele «Gli Stati Uniti condannano la vergognosa violazione da parte palestinese del cessate il fuoco», ha detto unendosi a una condanna analoga giunta in precedenza anche dalla Casa Bianca. «Hamas deve liberare immediatamente il soldato israeliano rapito», ha aggiunto. Poco dopo il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha denunciato anche la violazione del cessate il fuoco umanitario attribuendola ad Hamas. Condanne, appelli alla liberazione del soldato ed espressioni di solidarietà a Israele sono giunte per tutto il giorno nell’ufficio del primo ministro, rafforzando la determinazione di Netanyahu di avviare un’offensiva militare a Gaza persino più ampia di quella attuata a luglio. «Faremo tutto ciò che è necessario per difendere gli israeliani», ha avvertito perentorio Netanyahu prima della riunione del governo volta a decidere la risposta, prevedibilmente dura, all’uccisione dei due soldati e alla cattura dell’ufficiale.

 

Già ieri mattina le cannonate dei mezzi corazzati hanno fatto 62 morti e 250 feriti a Rafah, dove, secondo testimoni, hanno anche danneggiato l’ospedale al Najar del quale ieri sera l’esercito israeliano ha chiesto l’evacuazione. E’ stata colpita povera gente, persone che erano in strada perchè credevano che ci fosse la tregua e che invece sono state uccise. Per Israele, che ritrova in questa occasione il pieno sostegno di Washington, Hamas ha compiuto il rapimento del soldato con un piano ben organizzato e nel pieno della tregua umanitaria scattata alle 8. La versione del movimento islamico è molto diversa. Gli islamisti sostengono che tutto è avvenuto prima delle 8 e aggiungono che il militare è stato fatto prigioniero durante combattimenti innescati da un’avanzata di carri armati israeliani a Rafah. Oggi la delegazione palestinese, con rappresentanti di Hamas e guidata dal presidente Mahmud Abbas, andrà al Cairo per negoziare il cessate il fuoco con la mediazione egiziana. Ma difficilmente sarà raggiunta in serata da quella israeliana. Il governo Netanyahu, dicevano ieri sera le indiscrezioni, dovrebbe lanciare un ultimatum ad Hamas: liberate subito il soldato o per Gaza sarà l’inferno.

 

Ieri dopo le 8 le strade di Gaza city e del resto della Striscia si erano immediatamente popolate, nonostante il venerdì islamico che, di solito, spinge la popolazione a cominciare tutte le attività solo dopo la preghiera di mezzogiorno. Dal porticciolo di Gaza le barchette dei pescatori una dopo l’altra sono uscite in mare per gettare finalmente le reti. Poco dopo i pescatori più veloci hanno prontamente allestito i banchetti per la vendita del pesce fresco. Il traffico automobilistico si è fatto subito sostenuto, soprattutto nei quartieri popolari, e per la prima volta un buon numero di commercianti ha riaperto i negozi tenuti chiusi dall’8 luglio. La gente credeva alle possibilità di questa tregua di 72 ore, a differenza delle “finestre umanitarie” dei giorni scorsi durante le quali non sono mancate le stragi, come l’altro giorno a Shujayea dove un missile israeliano ha colpito la zona del mercato uccidendo una ventina di civili. Ma non sono stati solo momenti intensi, seppur brevi, di relax dopo oltre tre settimane di raid aerei e bombardamenti israeliani. Per molti sfollati la tregua ha significato la possibilità di lasciare per qualche ora le scuole dell’Unrwa e gli altri rifugi per recarsi alle case, o a ciò che rimane delle loro abitazioni, per cercare di recuperare qualcosa di utile, risparmiato dalla violenza delle cannonate e dal crollo di muri e soffitti.

 

Un fiume umano, non appena sono scoccate le 8, si è messo in movimento verso Shujayea, Beit Hanun, Beit Lahiya e Jabaliya le aree orientali di Gaza maggiormente colpite dai tiri dell’artiglieria o dai missili sganciati da F-16 e droni israeliani. Un mare di uomini, donne, bambini con in mano buste di plastica e borse. I più fortunati sono arrivati a bordo di carretti tirati dall’asino e di vecchi furgoni. Al sollievo di chi ha ritrovato in piedi la sua abitazione o danneggiata solo parzialmente, si è contrapposto il silenzio triste di chi ha perduto tutto e non ha potuto recuperare neppure un oggetto, un ricordo di una vita trascorsa tra le pareti domestiche. «La nostra casa non c’è più, dove andremo ora, come vivremo, non abbiamo più nulla», ripeteva una giovane avvolta nel velo nero, seduta sulle macerie della casa. Parole che ripetevano tanti ieri, non solo a Shujayea. L’emergenza dei sfollati è immensa. Le agenzie umanitarie stanno facendo il possibile, assieme ad ong locali ed internazionali per portare materassi, cibo, acqua e medicine a chi è stato costretto ad abbandonare le abitazioni sotto la spinta dell’avanzata dei mezzi corazzati e l’urto delle cannonate israeliane.

 

E già si annuncia lo slittamento dell’inizio dell’anno scolastico previsto a fine agosto. Tutti a Gaza sono convinti che l’attacco israeliano non avrà termine presto e che molte scuole, non solo quelle dell’Unrwa, rimarranno occupate dagli sfollati per mesi. E ora si rischiano anche le malattie infettive. La ong britannica Oxfam lancia l’allarme «Mentre cresce il numero degli sfollati intrappolati a Gaza (arrivati a 450 mila) e continua l’uccisione di minori (253 le vittime accertate tra i bambini) – scrive la Ong internazionale – esplode il rischio di epidemie tra la popolazione a causa dell’assenza di servizi igienici e della mancanza o contaminazione da liquami dell’acqua…sono già 30 i casi di meningite tra i minori, mentre stanno aumentando anche i rischi di malattie della pelle e di gastroenterite tra la popolazione». Oxfam è al lavoro a Gaza per aiutare 97.000 persone. Dall’inizio del conflitto ha fornito acqua potabile a più di 74.000 palestinesi e distribuito buoni d’acquisto per beni di prima necessità ad altri 15.891. E’ al lavoro sono anche il “Centro Italiano- Vittorio Arrigoni”, le ong e le associazioni italiane e varie organizzazioni palestinesi, che hanno raccolto fondi in Italia per comprare medicine per gli ospedali di Gaza e altri fondi nei Territori occupati per acquistare materassi, latte per i bambini, taniche dell’acqua e kit per la cucina, bombole del gas, abiti. Beni che sono già andati a mille famiglie. E presto grazie a nuovi fondi saranno aiutate altre mille famiglie.

 

Si è pianto non solo per le case perdute ma anche per mariti, figli, mogli, sorelle, genitori morti nei raid e nei cannoneggiamenti israeliani. Dalle macerie di Khusaa, tra Khan Yunis e Rafah, a brevissima distanza dalle linee di demarcazione tra Gaza e Israele, continuano ad emergere i corpi degli uccisi nei giorni scorsi. Il villaggio resta area militare chiusa ma ieri i reparti corazzati israeliani, sia pure per pochi minuti, hanno permesso ai residenti di avvicinarsi lungo la strada principale. Khusaa, hanno scoperto i suoi abitanti, ormai è una lunga striscia di edifici distrutti, moschee sventrate, pilastri rimasti miracolosamente in piedi. A mani nude, senza mascherine sul volto per proteggersi dalla puzza insopportabile dei corpi in decomposizione, molti hanno potuto riconoscere i loro cari solo dagli indumenti o dall’orologio. Hanno scoperto in stanze semidistrutte, sotto un pilastro caduto, tra pietre e polvere, i cavaderi di amici che mancano all’appello da giorni. Un giovane tra le lacrime ha chiamato i giornalisti ad osservare sei corpi di carbonizzati in una casa distrutta solo in parte. Le stesse scene si sono viste a Abasan, Bani Suheila, Khan Yunis, In questa zona sono morte circa 250 persone in attacchi aerei e tiri dell’artiglieria. Quando saranno recuperati tutti i corpi rimasti sotto le macerie, il bilancio di vittime palestinesi dell’offensiva israeliana si allungherà in modo drammatico, arrivando a numeri da vera e propria carneficina, ben oltre i 1.500 già raggiunti ieri.