Si sono svolte a Milano le sfilate della moda maschile con le collezioni del prossimo inverno, quello del 14-15 e il mondo della moda annuncia che, a Firenze per il Pitti Uomo e a Milano per le sfilate, si sono ripresentati i compratori italiani. Segnale di una ripresa del mercato interno che dovrebbe arrivare prima di quanto previsto. Dal punto di vista della moda-stile, si deve segnalare, invece, quell’incertezza di direzione che segnalavo in qualche rubrica fa. La moda maschile ha, infatti, confermato la doppia direzione: sperimentazione contro conservazione. All’interno di questi due filoni, in questa stagione più che mai si possono dividere gli stilisti in due categorie: i solisti e i coristi.

Solista assoluta si conferma Miuccia Prada che, nella sua iper ricerca di significati che stravolgano i significanti, canta da sola da molte stagioni, come se fosse la Callas nel momento in cui neanche la Tebaldi faceva sentire la sua voce. Per il suo uomo ha pensato una collezione che richiamasse il teatro sperimentale con le musiche di Kurt Weill, le coreografie di Pina Bausch e le regie di Lev Dodin, affidando ai vestiti i ruoli di protagonisti di storie personali. In due, ma pur sempre solisti, Domenico Dolce e Stefano Gabbana duettano portando la loro moda verso una legittimazione storico-sociale e, indagando ancora una volta sulla storia siciliana, hanno trasformato il loro uomo in un re Normanno e i vestiti ricamati, arricchiti, stampati, elaborati, in una sorta di Manto di Ruggero del XX secolo. Solisti anche Stefano Pilati, che per Zegna disegna giacche e cappotti compatibili con il loro status di cittadini consapevoli dell’esaurimento delle risorse, Brendan Mullane, che per Brioni sogna un uomo tanto ricco da potersi esprimere con il cigno di Leda (quello narrato da Ovidio e dipinto da Michelangelo) ricamato sui bomber di seta, Silvia Venturini Fendi, che volendo dire che il contenuto è più forte del contenitore anche nell’epoca digitale, leva un’aria di agilità trasformando il neoprene in un materiale più nobile e più costoso del coccodrillo e Armani che, ancora una volta, trasforma la giacca con una manica raglan.

Tutti gli altri, e sono tanti, cantano più o meno bene nel coro del formale e del sartoriale, come se oggi la sartorialità, come obietta il giovane designer Andrea Incontri che invece propone un’aria sull’industria, fosse di per sé e da solo un valore aggiunto. Fin qui, quindi, tutto previsto.

Un particolare a sorpresa arriva invece dalle tante presentazioni statiche delle collezioni. Colpisce che le avveniristiche architetture e scenografie degli anni precedenti abbiano lasciato il posto a poltrone e salotti: centinaia di ragazzi vestiti di tutto punto inseriti in ambienti familiari che vanno oltre il significato di domestico. Suggerire di rimanere a casa è sempre un brutto segnale: lo si fa in epoche di dittature e di crisi. E se è vero che dalla moda arriva il primo segnale di ripresa dei consumi è addirittura contraddittorio.

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