Per molti che (come me) hanno almeno sessant’anni e guardano con entusiasmo ai “ragazzi di Greta”, è come per il cane di Pavlov: agisce irrefrenabile un riflesso automatico tipo “stimolo-risposta”.
Lo stimolo è per l’appunto il movimento dei Friday for future ispirato dall’esempio personale di Greta Thunberg. La risposta suona più o meno così: dopo 50 anni finalmente riesplode lo spirito del Sessantotto.

Effettivamente ci sono solide somiglianze: anche questi sono giovani, anche questi sono incazzati come, tautologicamente, tutti i movimenti di ribellione giovanile da almeno mezzo secolo: come i ragazzi del Sessantotto, come i ragazzi di Greta, come i ragazzi delle “primavere arabe” poi quasi tutte fallite, come i ragazzi ieri di Tienanmen e oggi di Hong Kong, come i ragazzi che in America si battono contro l’ideologia delle armi prêt-à-porter.

Giovani e incazzati nelle piazze del Sessantotto come in quelle dei Friday for future, e gli uni e gli altri – terza somiglianza – distanti mille miglia da una politica, tutta quasi senza distinzioni, vista come aliena. Ma le analogie finiscono qui e cominciano le radicali differenze che fanno di questo un fenomeno totalmente inedito.

Una prima differenza è nei due contesti storici.

Nel Sessantotto – rivolta che riguardò essenzialmente l’Occidente e in Occidente soprattutto i figli della società “affluente” – c’era l’istintiva consapevolezza di milioni di giovani che una volta soddisfatti i bisogni materiali primari grazie al boom economico del dopoguerra, ci si potesse e dovesse dedicare ad aspirazioni “post-materiali”: la “liberazione” dei rapporti familiari e dei costumi sociali, i diritti civili, anche la giustizia sociale ma in una chiave meno “classista” che nella tradizione del movimento operaio.

Nei Friday for future, movimento non solo occidentale ma globale, si vede all’opera una generazione che vede sfuggirle un futuro degno, almeno altrettanto solido e sicuro – anche in termini materiali – del passato dei propri genitori: per la crisi climatica vicina al punto di non ritorno, poi per un senso generale di incertezza su quali e quante delle proprie speranze potranno realizzarsi. Insomma: post-materialista e tutto sommato ottimista il Sessantotto, neo-materialisti e legittimamente impauriti i giovani di oggi.

Seconda differenza. Il Sessantotto coltivava il mito della “violenza rivoluzionaria”, in diverse sue espressioni lo praticava. Nella mentalità dei ribelli di Greta abita invece una non-violenza assoluta: talmente prepolitica e scontata che non sentono neppure la necessità di dichiararla.

Terza differenza: il modo di organizzarsi. Il Sessantotto produsse quasi subito una proliferazione esasperata di piccoli e grandi leader, quasi sempre maschi. Qui c’è una sola leader, una sedicenne donna, e c’è il rifiuto o meglio il disinteresse (per ora) a strutturarsi in organizzazione.

Quarta differenza. Il Sessantotto era animato da una spinta spontaneista altrettanto potente di quella che affolla le piazze dei ragazzi, ma le sue parole d’ordine, i suoi linguaggi richiamavano riflessioni ed elaborazioni teoriche da una parte certamente più strutturate, dall’altra fondate su pensieri consolidati e in qualche misura già datati – il “neomarxismo” da Marcuse a Sartre, per dire i più popolari – e che furono tra le premesse delle involuzioni successive di quel movimento.

Tutto ciò significa che i Friday for future sono più promettenti del Sessantotto? Non è questo il punto, e certo il Sessantotto, pure con le sue ombre, ha segnato un passaggio straordinariamente efficace di progresso, di positiva evoluzione per le società occidentali.

Ma chi visse quell’esperienza farebbe bene evitare il rischio di scambiare i propri occhiali per uno specchio. E’ lo stesso errore commesso, all’opposto, da tanti ambientalisti “doc” che davanti a questi milioni di giovani in corteo, commentano infastiditi che “queste cose noi le diciamo da 30 anni, Greta e il suo movimento fanno simpatia ma devono ancora studiare”.

Noi le diciamo da 30 anni, ma evidentemente loro le dicono meglio. E in generale usare gli occhiali come fossero uno specchio non aiuta a capire ciò che sta succedendo di “rivoluzionario” nei venerdì per il futuro, e forse nemmeno a ricostruire fedelmente i successi e i limiti sia del Sessantotto sia di quarant’anni di ambientalismo.