E ora anche Roma si sente più fragile. L’assalto terroristico al cuore della Francia non era ancora iniziato quando, venerdì sera al termine della riunione bilaterale con Renzi, monsignor Fisichella, rincuorato dai finanziamenti governativi, aveva giudicato rassicuranti le misure di sicurezza adottate per il Giubileo, escludendo «particolari elementi per allarmare».

In poche ore è cambiato tutto: ieri mattina, dopo aver riunito il prefetto Gabrielli e il commissario Tronca con i vertici dell’intelligence italiana, il ministro Alfano ha annunciato di aver elevato sul territorio nazionale «la sicurezza al secondo livello, che comporta la possibilità di coinvolgimento dei corpi speciali dell’esercito»; subito dopo c’è il livello massimo che scatta mentre è in corso un attacco.

Strade, ferrovie, porti, aeroporti e frontiere, «in particolare quelle con la Francia», saranno sottoposti a «vigilanza strettissima». Perfino nelle carceri i controlli saranno «rafforzati per ridurre il rischio proselitismo». Ma è sulla Capitale che si concentra il maggiore sforzo: le minacce dell’Is contro Roma, «indicata dalla propaganda del Daesh come una metafora e un simbolo», «non possono essere sottovalutate», come sostengono i servizi e ripete il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. Perciò, ha assicurato il titolare del Viminale, «tutti i servizi di sicurezza nella Capitale sono stati attivati per la massima allerta». E 700 militari, dei 1100 già promessi, saranno «immediatamente disponibili» per operare nell’area metropolitana.

Alfano cerca di essere rassicurante: «Nessun Paese è a rischio zero», ma «il nostro sistema di intelligence ha tenuto e ha funzionato», dice snocciolando i numeri: 56.426 persone controllate nel 2015, 147 indagati, 325 espulsi o respinti alla frontiera, di cui 55 estremisti, «ancora stamattina un’altro» (ma dimentica il volo proibito dell’elicottero dei Casamonica su Roma, per esempio). «Il comitato analisi strategica antiterrorismo è riunito in permanenza», assicura ancora il ministro tentando perfino un distinguo con la più becera destra razzista: «Chi spara va arrestato, chi prega va difeso, a meno che non sia colluso. I musulmani devono sapere che nel nostro Paese c’è libertà di culto».

Eppure l’orrore di Parigi ha sortito in parte l’effetto voluto dai terroristi, e la paura corre e si gonfia sui social network, dove impazza l’hashtag #stopGiubileo, e nelle associazioni civiche, con il Codacons, per esempio, che rivolge un «accorato appello» al Papa perché trasformi l’Anno santo «in un momento di preghiera al quale i fedeli possono partecipare dal proprio Paese, senza recarsi a Roma».

Monsignor Fisichella è irremovibile nel suo no: «Anzi, davanti a fatti come questi, se il Giubileo non fosse stato programmato bisognava indirlo ad hoc». Ma anche il presidente del Pd, Matteo Orfini, invita a non rinunciare ai «nostri valori e la nostra vita», anche perché «abbiamo lavorato per garantire la sicurezza dell’evento fornendo risorse economiche e di personale».

Eppure lo stesso Copasir avverte: «Chi dice che l’Italia è al sicuro sbaglia». Perciò Matteo Renzi ieri sera ha riunito a Palazzo Chigi tutti i capigruppo per lanciare un «appello alla responsabilità di tutti noi su come ci poniamo di fronte a questa nuova sfida che durerà anni. L’opinione pubblica è scossa e deve sentire l’Italia unita».

«Non abbiamo minacce circostanziate – ha precisato il premier – ma l’attacco di Parigi costituisce un cambio di passo della minaccia terroristica in occidente». In ogni caso, il governo «sta seguendo ora per ora gli sviluppi della vicenda in stretto contatto con Hollande e gli altri leader».

«Quello che sta accadendo è il tentativo di mettere in discussione un modello di vita», è l’analisi di Renzi. Che incita le forze politiche riunite: «Siamo un Paese forte che ha sconfitto il terrorismo interno e le stragi di mafia, vinceremo anche questa sfida». Unità nazionale, necessaria anche per agevolare uno stanziamento straordinario in arrivo per la sicurezza.