Alcuni media italiani ieri riportavano, con grande evidenza, i comunicati dell’esercito israeliano senza porsi un interrogativo fondamentale sull’uccisione avvenuta all’alba di un palestinese di 42 anni, Osama Mansour, e il ferimento di sua moglie Sumaya da parte di soldati a un posto di blocco sulla strada tra Bidu e al Jib, nei pressi di Bir Nabala, a nord di Gerusalemme. Perché Mansour avrebbe dovuto tentare di investire quei soldati, con la moglie a bordo dell’auto, lasciando orfani di madre e padre i suoi cinque figli sapendo che con ogni probabilità sarebbero stati uccisi entrambi dal fuoco dei militari? Rilievo è stato dato alla versione secondo la quale l’esercito avrebbe evitato un «attacco terroristico». «La notte scorsa – ha detto il portavoce militare – i soldati hanno scorto un veicolo fermo che improvvisamente ha accelerato verso un altro gruppo di militari in maniera da mettere in pericolo le vite dei soldati stessi. Quindi hanno aperto il fuoco per impedire la minaccia».

Dall’ospedale la moglie dell’ucciso, ferita da uno dei proiettili sparati contro l’auto, ha smentito seccamente che le cose siano andate come le ha riferite il portavoce militare.  «Siamo stati fermati (al posto di blocco) – ha raccontato – Abbiamo spento il motore e mostrato i documenti ai soldati. Ci hanno detto che non potevamo andare oltre e che dovevamo tornare indietro. Mio marito ha riavviato il motore, si è mosso lentamente e pochi secondi dopo la nostra auto è stata bersagliata da proiettili. Osama è stato colpito alla testa, ha chiesto delle mie condizioni ed è spirato». I palestinesi sostengono che i soldati al posto di blocco erano tesi perché in quel momento era in corso un’operazione dell’esercito nel vicino villaggio di al Jib dove è stato arrestato un «sospetto».