Soldati israeliani dal grilletto facile, che con «disprezzo per la vita umana» non esitano a sparare pur non trovandosi in una situazione di pericolo e che quasi mai sono puniti per l’uso ingiustificato della forza contro i civili palestinesi. E’ questo il quadro che emerge dal rapporto “Trigger Happy”, pubblicato da Amnesty International sulla situazione nei Territori occupati e che ha spinto l’organizzazione per i diritti umani con sede a Londra a rivolgere un appello ai governi di tutto il mondo, europei ed americano in testa, a cessare ogni fornitura di armi a Israele. Ieri peraltro, mentre esercito e governo di Israele respingevano con forza le conclusioni del rapporto e rivolgevano a Amnesty l’accusa di essere di parte e di ignorare le violenze compiute dai palestinesi contro gli israeliani, a Bir Zeit, vicino Ramallah, un’unità speciale dell’esercito di occupazione uccideva Muatazz Washaba, un palestinese di 24 anni, attivista assieme al fratello del “Fronte popolare per la Liberazione della Palestina”.

Dell’accaduto esistono versioni diverse. Gli abitanti di Bir Zeit parlano di una “esecuzione a sangue freddo” del giovane che si trovava all’interno di un’abitazione, circondata dai militari, demolita un pezzo alla volta da una ruspa dell’esercito e contro la quale è stato sparato anche un razzo anticarro, prima dell’incursione dell’unità speciale terminata con l’uccisione di Washaha deciso a non farsi prendere. Il giovane non ha sparato sottolineano con forza i palestinesi e, in effetti, anche la versione dell’esercito israeliano non riferisce di un conflitto a fuoco ma solo che all’interno dell’abitazione è stata ritrovata un’arma.

Il rapporto di Amnesty prende in esame gli ultimi tre anni e mette in luce che almeno 45 palestinesi sono stati uccisi e migliaia feriti quando molti di loro «non rappresentavano una minaccia immediata e diretta per i soldati israeliani», dispiegati nella Cisgiordania occupata. E critica Israele per non aver condotto «indagini indipendenti» adeguate agli standard internazionali su queste uccisioni ingiustificate. «La frequenza e la persistenza nell’uso della forza arbitraria e abusiva da parte di soldati e poliziotti israeliani contro manifestanti pacifici in Cisgiordania, così come l’impunità di cui hanno beneficiato gli autori, fanno pensare a una vera e propria politica», ha spiegato Philip Luther, direttore del Progrramma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty.

L’anno scorso sono stati uccisi 22 palestinesi in Cisgiordania, nella maggior parte dei casi persone di età inferiore ai 25 anni e almeno quattro erano bambini. Diverse vittime, aggiunge Amnesty, sono state colpite alle spalle, probabilmente mentre cercavano di fuggire e non ponevano alcuna reale minaccia alla vita delle forze israeliane o di altre persone. In altri casi, le forze israeliane hanno fatto ricorso a metodi letali contro manifestanti che lanciavano sassi, causando un’inutile perdita di vite umane. Un caso è quello di Samir Awad, un palestinese 16enne di Bodrus, ucciso nei pressi della scuola nel gennaio 2013, mentre protestava contro il Muro che divide in due il villaggio. Samir è stato colpito tre volte (alla nuca, a una gamba e a una spalla) mentre cercava di fuggire dai soldati israeliani che avevano circondato il gruppo.

Di fronte a ciò, denuncia Amnesty, il sistema israeliano di indagine si è dimostrato inadeguato, non indipendente e imparziale, privo di trasparenza. Per questo conclude l’organizzazione per i diritti umani, gli Usa, l’Unione europea e il resto della comunità internazionale devono sospendere i trasferimenti di munizioni, armi ed altro equipaggiamento militare a Israele.