«Siamo i più stretti alleati e lavoriamo intensamente per contrastare l’aggressione russa all’Ucraina». Il cancelliere Olaf Scholz in visita ufficiale a Washington dice esattamente ciò che il presidente Joe Biden si aspettava dicesse per ripristinare lo status di «partner affidabile» alla Germania.

Anche se le parole che riportano Berlino a ovest del muro atlantista le aveva pronunciate poche ore prima la ministra della Difesa, Christine Lambrecht, pronta a inviare 350 soldati della Bundeswehr in Lituania già la prossima settimana.

«La Germania è uno dei nostri alleati principali», è la chiosa a specchio di Biden al termine del summit nello Studio ovale dove Scholz è stato accolto con tre «Welcome» consecutivi per far sentire bene l’amicizia particolare fino a Mosca. Mentre i due leader sottolineavano che la ritrovata unità si estenderà al G7 presieduto dalla Germania dedicato alla pandemia e ai cambiamenti climatici. Di fatto, però, il summit Biden-Scholz non chiude la «questione tedesca» irriducibile al veto di vendere le armi made in Germany a Kiev ribadito ieri dal cancelliere.

Le bombole vuote di Ursula. «Aumenteremo i rigassificatori per garantire le forniture energetiche all’Europa in caso di invasione russa dell’Ucraina». Il piano B della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, scandita a due voci con Biden nel corso del summit Usa-Ue, è rimbalzato in tutte le cancellerie e soprattutto fra i veri destinatari: Mosca e Berlino.

Tradotto, il messaggio significa per Putin che non gli basterà minacciare di chiudere i rubinetti del gas e per Scholz che il Nordstream non sarà il «cavallo di Troia» dei russi in Europa.

Poco importa se perfino i tecnici di Bruxelles fanno notare che di fronte a 1.670 Terawattora di gas forniti dalla Russia all’Europa negli ultimi 12 mesi (38% del fabbisogno totale) i rigassificatori ne hanno garantiti appena 730. Insomma, i conti di von der Leyen non tornano in funzione anti-russa, in compenso sembrano davvero perfetti per la nuova tassonomia Ue incardinata sul gas come energia-chiave per la transizione ecologica.

Caso Lockheed. Tra le pedine invisibili della scacchiera sul tavolo di Washington e Berlino spiccano i bombardieri nucleari che dovranno sostituire entro il 2030 gli obsoleti Tornado in via di smantellamento nelle basi della Luftwaffe.

Un business miliardario in cima alle priorità strategiche degli Usa con duplice obiettivo: assicurarsi che la Germania rinnovi il patto di condivisione atomica nella Nato (come promesso dal governo tedesco) e ancora prima boicottare la partecipazione tedesca al programma congiunto con la Francia per sviluppare il caccia-bombardiere europeo a partire dal 2040.

Al tempo dell’ultimo governo Merkel l’ex ministra della Difesa, Annegret Kramp Karrenbauer, aveva già ceduto alle pressioni Usa paventando l’acquisto di 30 Boeing F-18 Super Hornet e 15 Growler equipaggiati per la guerra elettronica. Ma ieri Scholz ha messo sul piatto anche l’opzione di comprare gli F-35 Stealth fabbricati da Lockheed-Martin.

Un’informazione sintomatica anche per i non addetti del settore: la Germania finora si è sempre tenuta fuori dal programma «Joint Strike Fighter» in partnership con gli Usa, al contrario della maggioranza degli alleati Nato, Regno unito e Italia in testa.

Musica per le orecchie di Biden, sempre più preoccupato che la rinascita dell’asse franco-tedesco – proprio lo stesso che si oppose all’invasione dell’Iraq – possa trascinare l’Europa verso la non-cobelligeranza nella nuova Guerra fredda.

Giovani falchi. «Se la Russia non cambia subito atteggiamento, il Nordstream non può entrare in funzione». Così Jessica Rosenthal, segretaria dei Giovani socialisti (Jusos), poco prima dell’inizio del vertice fra Biden e Scholz e subito dopo la conferma che l’ex cancelliere Spd, Gerhard Schröder, è entrato nel Cda di Gazprom.

«Indipendentemente dalle procedure tecniche il governo Scholz deve chiarire che nella situazione attuale non è disposto a dare il via libera al gasdotto. Schröder? Ormai non ha più ruoli nel partito e parla solo come lobbista degli interessi russi», taglia corto la numero uno degli Jusos. Si aggiunge agli altri hard-liner contro Mosca come il presidente della commissione Esteri del Bundestag, Michael Roth, contrapposti al fronte dei russofili nella Spd guidato dalla governatrice del Mecleburgo-Pomerania, Manuela Schwesig.

Ma è un tiro ad alzo zero soprattutto contro Scholz che si ostina a bollare il Nordstream come «un progetto privato», ovvero il segnale che i 49 deputati con in tasca la tessera degli Jusos sono pronti ad aprire il fuoco sul cancelliere. Il cui consenso vacilla vistosamente anche fuori dalla Spd come certifica il sondaggio Civey di ieri che fotografa il 63% dei tedeschi critici sui primi tre mesi di governo di Scholz.