Finalmente. Da molti anni le librerie italiane pullulavano di guide sui 1000 dischi rock essenziali, imperdibili, da ascoltare prima di morire. Alcune compilate con passione e con cura, ma tutte segnate da un grave limite: un anglocentrismo soffocante. Sfogliandole si ha la sensazione che in paesi come Francia, Polonia o Spagna non esistano musicisti.

Il nuovo libro di Antonello Cresti, Solchi sperimentali. Una guida alle musiche altre (Crac Edizioni, 2014), colma finalmente questo vuoto. In ogni caso l’autore non può certo essere accusato di anglofobia, dato che i suoi quattro libri precedenti sono dedicati a fenomeni musicali e culturali britannici. I meno giovani potrebbero trovare nel libro uno spirito affine a quello che caratterizza Musica per non consumare, il testo di Bertoncelli e Bolelli edito nel 1979 dal Formichiere. Ma anche questo, per quanto lucido e prezioso, restava sostanzialmente concentrato sul mondo anglosassone.

Il libro di Cresti è una raccolta di circa 300 dischi che coprono mezzo secolo di musica. La prima cosa che colpisce è l’incredibile varietà geografica dei lavori analizzati. Il volume non trascura neanche paesi generalmente dimenticati come Australia e Nuova Zelanda. Inoltre il libro dedica ampio spazio all’ignoto giacimento di tesori situato nei paesi dell’Europa centrale e orientale. Si tratta di una scelta meritoria che ha un valore culturale ben preciso.
Nella seconda metà del secolo scorso, in seguito alla logica manichea imposta dalla Guerra Fredda, una parte consistente della musica europea è stata sostanzialmente ignorata. Mentre eravamo costantemente informati dei fermenti musicali provenienti dalla Gran Bretagna e dagli Stati uniti, poco o nulla ci arrivava di quello che veniva creato in Ungheria, in Romania o in Polonia. In questo modo si è consumata una frattura profonda fra le due parti del continente. Solchi sperimentali fornisce quindi un contributo, solitario ma prezioso, affinché questa frattura venga ricomposta.

Le scuole e le tendenze non sono mai rappresentate dai nomi più prevedibili. I nomi italiani degli anni Settanta non sono quelli dediti al prog magniloquente, ma gruppi più stimolanti come Aktuala, Opus Avantra e Pholas Dactylus. Naturalmente non mancano quelli legati all’esperienza di Rock in Opposition, da Julverne a Univers Zero.
In effetti il musicologo fiorentino doveva scrivere un libro come questo. Il suo percorso culturale è iniziato nel 2003: non come scrittore, ma come parte del duo Nihil Project, che lo vedeva accanto al chitarrista bolognese Andrea Gianessi (detto Janex). In dischi come Paria (2003) e Samhain (2005) la loro musica ha recuperato certi umori degli anni Sessanta e Settanta, soprattutto psichedelici, ma con una certa originalità. Vale la pena di sottolineare che a questi lavori hanno collaborato in vario modo artisti come Franco Battiato, Juri Camisasca e Andrea Chimenti.