Alejandro Solalinde è un sacerdote messicano, Premio nazionale dei Diritti umani 2012 e fondatore a Ixtepec (Oaxaca) del rifugio Hermanos en el camino (Fratelli in cammino) per i migranti centro e sudamericani che rischiano la vita per raggiungere gli Usa sul treno noto come «La Bestia».

Che bilancio fa a 10 anni dalla nascita del rifugio?

Positivo. Abbiamo fatto progressi nell’incidenza politica, nell’aiuto umanitario e la protezione ai migranti. Abbiamo continuato a mostrare la problematica dei migranti, e anche la Chiesa ha dovuto impegnarsi sempre più in questo decennio. Ora abbiamo sei rifugi tra Oaxaca, Veracruz, Toluca e Città del Messico.

E sono 10 anni che in Messico c’è una narco-guerra.

Siamo arrivati a un climax della criminalità organizzata anche con la partecipazione di funzionari pubblici di alto livello, come per esempio gli ultimi due governatori del Veracruz, Duarte ed Herrera, che sono dei veri boss criminali, personaggi corrotti che se la sono presa coi migranti, favorendo i sequestri. Tante testimonianze di migranti e anche narcos degli Zetas ne hanno parlato. Le politiche migratorie del Messico sono condizionate dalla pressione americana. Ci chiedono di controllare il loro «cortile di casa» e il flusso migratorio, ma purtroppo lo facciamo in malo modo, usando armi, pistole elettriche e di stordimento per torturare i migranti e fargli dire di dove sono. Noi documentiamo tutto ed è brutale il ruolo dell’Istituto nazionale di migrazione (Inm) in arresti e deportazioni, e in quelli che loro chiamano alloggi, cioè vere e proprie prigioni. Il governo è sottomesso agli Usa, questo è il vero problema, ma è molto vigorosa la risposta delle organizzazioni sociali e dei rifugi.

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Un migrante dorme nella cappella della casa per migranti fondata da Solalinde a Ixtepec, fondata a pochi passi dalla stazione del treno merci chiamato «La Bestia», utilizzato dai migranti centro e sudamericani per attraversare il Messico da sud a nord. Questa,[object Object], fa parte di un fotoreportage pubblicato dal manifesto il 27 gennaio di quest’anno con il titolo «Il sueño americano dei migranti. Un viaggio bestiale»

Con Trump è peggiorata la situazione?

Certo, la migrazione negli Usa è diminuita di circa il 40%. Del 60% che resta, un 25% ci prova e ce la fa, un 25% è sconfitto e ritorna, ma una metà resta in Messico e cerca di farsi una vita mentre aspetta che cambi la situazione. Non c’è una politica di accoglienza per loro, anzi credo che il Messico deporta con sempre più zelo le persone in Centroamerica, sapendo di mandarle a condizioni inumane e pericolose.

Dopo i terremoti di settembre c’è stata molta solidarietà ma anche tensione tra governo e brigate popolari di soccorso. Come mai?

Il governo messicano è stato sempre superato dalla solidarietà della gente. È preoccupato di fare brutta figura, com’è successo, per la sua inerzia e per la sua inefficacia. La gente sa di non poter contare sul governo, che è corrotto e demagogico, insensibile ai bisogni del suo popolo. Tanti giovani si sono riversati per le strade ad aiutare, dall’insofferenza si è passati alla solidarietà, e non solo negli aiuti. Certi palazzi nuovi, costruiti anche con permessi dei governi, sono crollati e altri antichi sono rimasti in piedi: questo si chiama corruzione ed è chiaro alle persone. I partiti, ma soprattutto il Pri (Partido revolucionario institucional, attualmente al potere, ndr), prendono decisioni non tanto perché gli interessa la sofferenza della popolazione ma perché vogliono guadagnare voti alle elezioni presidenziali del 2018.

Come sta Juchitán, città vicina al rifugio di Ixtepec e tra le più colpite?

Sono stato attento alla situazione dai primi momenti e posso dire con orgoglio che abbiamo avuto brigate di migranti che hanno aiutato a Juchitán, Città del Messico e Morelos. Il primo terremoto ha danneggiato una palazzina del nostro rifugio, ma quello del 19 l’ha resa inabitabile e ora stiamo nelle tende. Ciò mi fa pensare solo a una cosa: siamo migranti, la vita è effimera, gli edifici non durano per sempre ma vanno fatti affinché servano alla gente e preservino la vita.

Dopo le minacce che ha ricevuto teme per la sua vita?

Il libro I narcos mi vogliono morto è uscito pure in Spagna col titolo Una vita a rischio. La situazione è delicata, ma tutto questo non è nuovo. Ho denunciato più volte le minacce ricevute ai mass media e ora coi libri vogliamo mostrare al mondo cosa succede ai migranti, la connivenza del crimine organizzato col «crimine autorizzato». Calcoliamo che ci sono 10-11mila migranti desaparecidos in Messico e il Movimento Migrante Mesoamericano ne conta 70mila. L’Istituto «criminale» della migrazione è un esempio concreto. Non dico che l’Inm messicano usi cattive maniere, dico che è delinquenziale con cognizione di causa e prove, perché denunciamo casi gravissimi, ma purtroppo c’è una complicità del governo, non c’è separazione dei poteri, il presidente è un accentratore che controlla tutto e anche la Procura s’è prestata a queste ingiustizie. Abbiamo sporto una denuncia dietro l’altra ma non ci fanno caso.

Perché siete scomodi per il governo e le mafie?

Perché ci sono di mezzo affari e soldi. I migranti sono merci per loro. Se difendi i diritti umani, sporgi denunce e proteggi le vittime, disturbando gli affari. Ho la fortuna d’essere ancora vivo, ma ci son 106 attivisti dei diritti umani morti ammazzati, così come tanti giornalisti, come lei sa, che in Messico sono assassinati. Siamo in pericolo, ma chi ha coscienza lotterà finché potrà restare in vita.

Che pensa dell’Italia, in cui molti politici dicono «aiutiamoli a casa loro», facendo sfoggio di xenofobia?

È vero, ma l’Italia ha un vantaggio, per esempio sulla Spagna, per la presenza di un papa come Francesco, molto impegnato sul fronte dei migranti, e si stanno costruendo molti movimenti sociali. La questione migratoria è globale. La migrazione forzata è causata dal sistema capitalista neoliberista e passa dal Nord geopolitico, Usa ed Europa, che hanno saccheggiato e diviso il Sud. Mi pare che tra vari paesi l’Italia abbia più speranze grazie alle carovane migranti e alle reti di solidarietà che si tessono. La società civile è in prima linea.

In questi giorni padre Alejandro Solalinde è in Italia per un tour di presentazioni dell’autobiografia (con prefazione di don Ciotti) «I narcos mi vogliono morto. Messico, un prete contro i trafficanti di uomini» (Emi), libro denuncia scritto insieme alla giornalista Lucia Capuzzi. Oggi sarà a Ventimiglia (Sant’Agostino, ore 16) e a Sanremo (San Giuseppe, ore 21). Lunedì 23 tappa a Fuorigrotta, Napoli (Parrocchia del Buon pastore, ore 19).