Il caso Moro è recentemente tornato attuale a causa della proposta di istituire una nuova Commissione parlamentare di inchiesta e della decisione della Procura di Roma di riaprire un fascicolo sul rapimento dell’allora presidente della Democrazia Cristiana.

L’ex giudice Ferdinando Imposimato, autore di lunghi studi sulla vicenda ai quale si sono richiamati i due parlamentari del Pd firmatari della proposta di legge per la Commissione, Gero Grassi e Giuseppe Fioroni, sostiene da tempo che nel delitto Moro abbiano avuto un ruolo primario forze esterne e, in particolare, il Kgb. Come altri prima di lui, si è concentrato sulla figura di Sergej Sokolov, uno studente sovietico che giunse in Italia pochi mesi prima della strage di via Fani con una borsa di studio in Storia del Risorgimento e che frequentò anche alcune lezioni di Aldo Moro alla Sapienza. Lo stesso sarebbe tornato in Italia nel 1981 come corrispondente della Tass, per poi comparire nelle liste dell’Archivio Mitrokhin, rapporto Impedian n° 83 del 23 agosto 1995 dove si dice che tale Sergej Fedorovich Sokolov, nato il 5 giugno 1953 (dove?), è stato un ufficiale del Kgb «di comprovata attendibilità, con accesso diretto ma parziale», e corrispondente della Tass a Roma dal 1981 al 1985.

Al di là del fatto che essere un membro dei servizi di sicurezza sovietici non comporta il necessario coinvolgimento della struttura di appartenenza a un complotto internazionale, prima di qualsiasi discussione sarebbe utile individuare con certezza la persona di cui si parla. La storia del Kgb è piena di Sokolov: in una raccolta neanche tanto voluminosa di documenti sulla Ljubjanka, già sede del Kgb (330 pp., Mosca 1997) sono presenti tre Sokolov, P.N., Ja.P. e I.I. e altri quattro in una successiva (Mosca 2004), uno senza iniziali, un A.G., un P.A. e un F.V. In tutto, sette Sokolov che hanno avuto a che fare con i servizi, dei quali nessuno è certamente Sergej. Dunque, Sokolov è un cognome molto diffuso in Russia, così come lo è il nome Sergej. Per individuare con certezza una persona in caso di piena omonimia di nome e cognome, l’uso russo fornisce come parte integrante del nome anche la paternità, o patronimoco. Se il Sergej dell’archivio Mitrokhin è lo stesso che nel 1978 frequentò le lezioni di Moro, intanto per cominciare il patronimico deve coincidere. Secondo quanto si legge nel libro Doveva Morire, edito da Chiarelettere e scritto da Imposimato insieme a Sandro Provvisionato, il Sergej (Fedorovich?) Sokolov studente che frequentò le lezioni di Moro nel 1978, in patria si occupò del notissimo dissidente Andrej Sacharov e di sua moglie Elena Bonner, che visitò più volte a Gor’kij (oggi Nizhnij Novgorod) durante gli anni dell’esilio.

Ecco quanto riportato a p. 230: «Nell’estate del 1985 il governo di Mosca è fortemente preoccupato del fatto che l’attenzione dei media di tutto il mondo sia puntata sul destino dell’intellettuale Andrej Dmitrevic Sacharov, l’emblema stesso del dissenso all’interno dell’impero sovietico. Il compito di controllare l’intellettuale e sua moglie, Yelena Bonner, viene affidato a un ufficiale del Kgb, proprio Sokolov, che incontra Sacharov nell’ospedale dove è ricoverato, al confino di Gor’kij».

La figura di questo ufficiale è messa in cattiva luce sostenendo che incaricò i medici di nutrire in modo coatto Sacharov durante uno sciopero della fame e che in seguito propose un accordo allo stesso fisico sovietico: permettere a lui e alla moglie di andare negli Usa per vedere la famiglia a patto che non rilasciassero dichiarazioni pubbliche. Ebbene, anche il Sokolov che si occupò di Sacharov si chiama Sergej, ma il patronimico comincia con la lettera I (Ivanovich?). Inoltre, secondo le memorie dello stesso dissidente, quel rapporto sembra essere più complesso. Anzitutto, Sergej I. Sokolov era un agente del Kgb già nel 1973.
Scrive Sacharov: «Nei primi giorni di novembre (del 1973) Ljusia (Elena Bonner) ricevette una citazione che la convocava in veste di testimone a Lefortovo (dove si trova la sezione istruttoria del Kgb; a Lefortovo c’è anche il carcere istruttorio, tecnicamente definito isolamento istruttorio); la citazione le ingiungeva di presentarsi dal giudice istruttore Gubinskij. Prima dell’interrogatorio la conversazione venne condotta da un certo Sokolov (ora pensiamo si trattasse del capo della sezione locale del Kgb; in seguito lo incontrammo varie volte a Gor’kij)».

Se questo è il Sokolov nato nel 1953, nel 1973 aveva 20 anni. Chi conosce il funzionamento dei servizi sovietici sa che è impossibile che a quell’età si potesse essere già a capo di una sezione locale degli stessi, o avere la responsabilità di dissidenti del livello di Sacharov e Elena Bonner.
Più avanti nelle sue memorie, pubblicate in Italia da Sugarco nel 1990, Sacharov riprende il discorso (pp. 707-708): «Il mattino del 5 settembre (1985) arrivò (a Gor’kij) inaspettatamente un inviato del Kgb dell’Urss, S.I. Sokolov. Probabilmente era direttore di uno degli uffici del Kgb incaricati di seguire il mio caso e quello di Ljusja. Nel novembre del 1973, prima che Ljusja fosse interrogata da Syscikov, Sokolov aveva usato con lei, nel corso di un ‘colloquio’, accenti persuasivi. Nel maggio del 1985 era venuto a trovarci per parlare con me e Ljusja (separatamente). Con me era stato assai duro, voleva convicermi dell’assoluta inutilità dello sciopero della fame allo scopo evidente di costringermi a interromperlo».

Tre sono le cose importanti di questo passaggio: la prima è che il Sokolov che viene a trovare Sacharov nel 1985 è lo stesso di 12 anni prima. La seconda è che egli non ordinò l’alimentazione coatta, ma cercò di dissuadere Sacharov a continuare lo sciopero della fame. Tanto che quando il fisico premio Nobel per la Pace parla nel suo libro di alimentazione forzosa, non fa alcun riferimento a Sokolov. La terza riguarda l’anno: l’11 marzo 1985 venne eletto segretario generale del Cc del Pcus Michail Sergeevich Gorbachev che diede il via all’ultimo tentativo di riforma del sistema sovietico, noto come perestrojka. Sokolov giunse a Gor’kij su incarico dello stesso Gorbachev per contrattare con Sacharov il viaggio all’estero di sua moglie e, eventualmente, quello di Sacharov stesso, al quale chiese esplicitamente una sola condizione vincolante: non rivelare i segreti sugli armamenti nucleari sovietici che il dissidente conosceva perché tra i padri della bomba termonucleare sovietica, cosa per la quale era stato insignito in passato per ben tre volte dell’onorificenza di eroe del lavoro socialista.

Per concludere, prima di ogni altra possibile discussione sul presunto coinvolgimento del Kgb nel caso Moro, è bene individuare con precisione il Sokolov di cui si sta parlando. Dai riscontri oggettivi, infatti, appare molto probabile che il borsista sovietico e l’agente dei servizi siano due persone diverse.

*Storico, autore, tra gli altri, di La pazzia di Aldo Moro (Bur) e Storia delle Brigate rosse (Odradek)