In una successione confusa di fatti e misfatti, la moda si presenta a questo 2016 con segnali futili, quasi volesse nascondere a se stessa le difficoltà che dovrà affrontare in un anno che sarà difficile. Per esempio, il popolo dei follower della moda sui social network, quanto mai più eterogeneo possibile, ha festeggiato con entusiasmo una notizia che, di per sé, è allarmante per la sua valenza subdola: lo stilista inglese JW Anderson trasmetterà in diretta da Londra la sua sfilata di moda maschile su Grindr, il social network che si presenta come «Leader assoluto tra le app social network mobili esclusivamente per uomini gay, bi e curiosi. Con oltre 7 milioni di ragazzi in 192 Paesi».

Il fatto in sé non ha nulla di sconveniente, ovviamente, ma il fatto che si usi un social network così orientato è comunque ambivalente: da una parte stabilisce un primato di apertura verso una piazza virtuale che serve prevalentemente per incontri sessuali immediati e veloci, dall’altra non si può non vedere lo sfruttamento pubblicitario che l’iniziativa porta con sé. Perché se è vero che la moda maschile gode un’ottima salute nei mercati, è anche vero che nei club gay l’abbigliamento più utilizzato si restringe a un jeans e a una T-shirt più o meno smanicata, cioè un tipo di abbigliamento basic molto lontano dalle elaborazioni della moda attuale.

Mentre il pubblico maschile più attento alla moda è quello dei metrosexual (i maschi eterosessuali che amano curare l’aspetto fisico con prodotti di bellezza e abiti firmati) non ancora indeboliti dagli spornosexual (quelli con i muscoli in vista) e degli uomini NormCore, che avrebbero dovuto sostituire gli uni e gli altri nel consumo di abiti firmati ma di fattura più classica. L’iniziativa di Anderson, commentata sui social network come l’evento del secolo, altro non è quindi se non un grande spot pubblicitario che avrebbe dovuto un po’ indignare la comunità del social media su cui viene trasmesso perché sfrutta palesemente il mezzo a fini commerciali.

E invece, non sono state registrate prese di posizione in questo senso. Il che fa tutt’uno con l’entusiasmo con cui è stata accolta la notizia del fidanzamento ufficiale (engagement) della stilista americana Tory Burch con Pierre Yves-Roussel, chairman e CEO di LVMH Fashion Group, cioè il capo di tutta la moda che producono i marchi del più grande gruppo della moda di lusso mondiale (Vuitton, Dior, Céline, Givenchy, Fendi e altri).
Il fatto che la Burch sia non solo una designer di moda ma una delle figure più aspirazionali delle donne americane Wasp e costruttrice del lifestyle dell’Upper East Side di Manhattan, ha addirittura scatenato la febbre del matrimonio da favola, tanto che il sito americano di Vogue si è anche immaginato, in un lungo servizio, come potrà essere il suo matrimonio. E qui la confusione tra la moda e la necessità di farsi raccontare e ammaliare dalle favole ha trovato la sua unione perfetta. Sperando che il risveglio da questo sogno intontito non sia troppo traumatico.

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