Per gli amanti del grande teatro, il 2018 riserverà una grande sorpresa, che tutti ci auguriamo felice, ma per ora davvero insondabile. I magnifici performer cresciuti con Pina Bausch, lavoreranno per la prima volta tutti assieme con un altro coreografo, il greco Dimitris Papaioannu.

 

 

Star della danza mondiale, aggressivo attraverso i corpi nudi dei suoi atleti, finissimo ragionatore dei teoremi del pensiero. Una scommessa alta, la più ardita della scena planetaria. In Italia lo spettacolo forse più atteso del 2018 arriverà tra poco, a fine gennaio. È il più atteso perché porta in scena qualcosa che con il teatro ha molto a che fare, ma la cui «trasposizione» scenica fa tremare le vene, e i conti. L’interpretazione dei sogni del dottor Freud è la maggiore produzione del Piccolo di Milano per questa stagione, riscritta da Stefano Massini che le operazioni impossibili predilige, e con la regia di Federico Tiezzi.

 

 

 

 

Ma sogni  e incubi già attraversano turbinosamente tutto lo spettacolo italiano, senza che il dottor Freud li possa in nessun modo aiutare. A fine gennaio prossimo scadono i termini per la presentazione dei nuovi progetti triennali da parte dei teatri, i direttori si affannano a buttarci dentro qualsiasi riempitivo, anche se poi qualcuno, in scadenza, la direzione potrebbe perderla, per cedere magari il posto a qualche altro manager «di provata esperienza», anche se accumulata in tutt’altro campo…
Da poche settimane lo spettacolo dal vivo gode in Italia di un suo Codice, approvato dal parlamento. Questo potrebbe comportare il ritocco anche del«“decreto Franceschini», che era entrato in vigore tra molte polemiche e ricorsi, come qualche spettatore ricorderà. Ora c’è da fare i conti con le regole che il Codice detta, un misto tra rigore ideale e generosità sociale un po’ sospetta, che sembra voler parare l’ondata populista montante.

 

 

 

 

Un solo esempio ma significativo, è quella sorta di garanzia assistenziale per le attività parateatrali: quelle amatoriali ma anche sfilate di carnevale e devozionali. Tutte destinate a condividere il fatidico Fus (il Fondo unico per lo spettacolo) con chi il teatro lo fa come lavoro, e per questo si è preparato, e ormai deve condurre battaglie sindacali estenuanti per difendere dignità e salario. L’aspetto della preparazione professionale alza il sipario su un altro punto che quest’anno potrebbe venire a maturazione, e che riguarda proprio il Miur. Nel dominio della ministra Fedeli, i giornali si accaniscono a denunciarne gli errori grammaticali, che spesso sono anche opinabili in quanto tali. Ma nessuno si cura ad esempio degli istituti di alta formazione (i cosiddetti Afam), ovvero le Accademie artistiche che sono da sempre garantite proprio dal fatto di essere pubbliche, e dove confluiscono errori e perversioni impostate dalle ineffabili ministre precedenti.

 

 

 

 

Spira lì un forte vento di privatizzazione, che ha iniziato a levarsi con il riconoscimento paritario di istituti privati, mentre di altri si annuncia addirittura la creazione dal nulla. Come è successo per l’istruzione secondaria, con la differenza che salendo il livello dei programmi da svolgere, sarà sempre più difficile un controllo adeguato della «qualità», e nessuno potrà sindacare su eventuali bufale.