Dalla penombra emergono figure, immagini, ricordi. Al centro della prima stanza dell’esposizione, un manichino di Federico Fellini sta per entrare in una macchina dove lo aspetta Dante Ferretti. «Era il tragitto che facevamo insieme tutte le mattine: dal bar Canova, in Piazza del Popolo, a Cinecittà» ricorda lo scenografo e curatore – insieme a Francesca Lo Schiavo – di Felliniana, la mostra permanente che apre oggi a Cinecittà.

UNA DELLE moltissime iniziative che celebrano quello che sarebbe stato il centesimo compleanno del regista della Dolce vita, nato a Rimini il 20 gennaio del 1920. Con Felliniana – sottotitolato non a caso «Ferretti sogna Fellini» – il ricordo nasce però da una contaminazione di pensieri, esperienze e sogni condivisi da Fellini e Ferretti, che si incontrarono nel 1969 sul set di Satyricon e lavorarono insieme a 5 film, da Prova d’orchestra (1979) a La voce della luna (1990) – l’ultimo del regista tre anni prima della sua scomparsa, lo stesso anno in cui gli fu conferito l’Oscar alla carriera e di poco precedente alla morte della moglie e presenza costante dei suoi film, Giulietta Masina.

Non quindi un set o un’installazione, o una più convenzionale mostra che ricapitoli la lunga carriera di Fellini – cominciando dal suo arrivo a Roma, la collaborazione con il «Marc’Aurelio» e quella con Rossellini, fino al debutto nel 1952 con Lo sceicco bianco – ma il tentativo, come spiega Francesca Lo Schiavo, «di riportare in vita un ricordo». A partire da tre elementi centrali nell’immaginario felliniano, scanditi dalle altrettante sale dell’esposizione: la prima che si incontra è la sala dell’automobile, la Fiat 125 con cui Fellini andava a Cinecittà e soprattutto quella dei vagabondaggi notturni in compagnia degli amici – Ennio Flaiano, Marcello Mastroianni… – con cui scambiava racconti di sogni, idee e visioni che prendevano vita nei suoi film.

I MANICHINI iperrealisti di Fellini e Ferretti sono invece il contributo dato alla mostra da Makinarium, il collettivo di «artigiani» degli effetti speciali (dietro le creature fantastiche che popolano Il racconto dei racconti di Matteo Garrone) che ha anche realizzato i manichini della seconda sala, la «casa del piacere» ispirata alla Città delle donne, dove si trova pure il volto per antonomasia del cinema di Fellini, Marcello Mastroianni, «che Federico considerava il suo alter ego» racconta Lo Schiavo. L’ambizione di Felliniana è infatti «ritrovare il mondo di Fellini – continua la scenografa – e i personaggi che ne hanno fatto parte. Abbiamo cercato di mettere nell’allestimento qualcosa che lo ricordasse con un’atmosfera da sogno».

I sogni, le manifestazioni dell’inconscio, la vita sfrenata dell’immaginazione liberata dalla «prigionia» della realtà che sono così centrali nel suo cinema e anche nel rapporto con l’amico e collaboratore Ferretti: «La prima volta che siamo andati a Cinecittà insieme mi ha chiesto cosa avessi sognato la notte prima, e io non me ne ricordavo. La seconda volta stessa cosa. Alla terza ho cominciato a inventare dei sogni ispirati ai suoi film, come per esempio I vitelloni».

L’ULTIMA SALA è invece una ricostruzione del Fulgor, il cinema di Rimini dove Fellini scoprì il grande schermo (con la proiezione di Maciste all’inferno come ricorda lo stesso regista in una delle tante citazioni riportate sulle pareti delle sale) e che Ferretti restaurò nel 2017, dopo averlo ricreato a Cinecittà, nel 1972, per Amarcord. Un luogo anch’esso filtrato dal sogno, da un’immagine che supera la realtà, dove alle «pareti grigie» che Ferretti ricorda nell’originale subentrano sfavillanti stucchi di rosso veneziano e capitelli dorati. «È un Fulgor completamente ridisegnato – dice lo scenografo – di gusto un po’ americano, per ricordare Fellini e quello che ha fatto: un cinema speciale». Anche testimonianza di una partecipazione alle immagini che sembra tramontata: la polemica di Fellini negli anni Ottanta con le reti berlusconiane, che trasmettevano i suoi film massacrati dalla pubblicità, sembra oggi un dibattito completamente superato dall’abbrutimento del rapporto con il cinema.

E infatti il Fulgor di Felliniana, luogo magico – immaginario e reale – dell’esperienza cinematografica è reinventato anche attraverso la nostalgia, «la malinconia» che secondo Lo Schiavo attraversa tutto l’allestimento. Malinconia «per il fatto che Federico non c’è più» e nostalgia del suo cinema senza barriere: «Mi ha dimostrato che tutto era possibile, che non c’erano limiti».