L’aspetto più interessante del genere-racconto sta nei suoi bordi sfumati, nell’esperienza dell’imprevedibile e nell’opportunità di trasformarsi in qualcos’altro. Uno dei possibili problemi, invece, è di anchilosarsi nel modello classico, dove tutto è perfetto. A me piace – ha detto Federico Falco – pensare a un racconto come abitato. In America Latina, il quarantenne scrittore argentino è considerato una penna originale e già solida, capace di mantenere la promessa della rivista «Granta», che fin dal 2010 lo selezionò tra i migliori narratori in lingua spagnola sotto i trentacinque anni. È rappresentante eccellente della «Nueva Narrativa Argentina», una prolifica generazione di autori (da Patricio Pron a Pedro Mairal fino a Andrés Neuman, di cui Sur ha già pubblicato diverse traduzioni) nati negli anni Settanta, che esprimono, tra vulnerabilità e resistenza, il vincolo della letteratura con la politica, partendo dalla comune esperienza degli anni Novanta, tra prospettive neoliberiste imposte dal menemismo e crisi economica.

Non di sola scrittura
Grazie a un saldo senso di appartenenza, questi scrittori non si perdono in annose polemiche letterarie e confluiscono piuttosto in spazi letterari collettivi, che contribuiscono alla diffusione delle loro opere: lo stesso Federico Falco dirige la rivista digitale «Fe de Rata» assieme ad altri due esponenti della sua generazione, Luciano Lamberti e Inés Rial, e come altri coetanei latinoamericani non si limita a scrivere: fa videoarte. La sua è una generazione che si fa sentire fuori dalla capitale infrangendo lo status anagrafico per eccellenza del narratore argentino: Falco non è nato a Buenos Aires bensì a General Cabrera, nella provincia di Córdoba, centro di un boom narrativo a ragione messo a fuoco dalla critica. I paesaggi della provincia retroalimentano, del resto, la narrativa dello scrittore argentino nei cui racconti prende risalto la contrapposizione tra la natura e la vita spesso grigia e monotona dei personaggi. Lo si vede, per esempio, nella sua prima raccolta appena tradotta da Maria Nicola, con bella e percettibile intensità (Sur, pp. 170, euro 16.50), Silvi e la notte oscura, che riunisce cinque racconti composti attorno al tema del vivere «nella bruma della distanza»: via dal paese, dalla religione, dalla morte.

I luoghi sono paesaggi pacifici, gonfi di provincia, con cieli senza astri e «una notte senza luna», con il sole che si nasconde «dietro ai monti» e una luce «lattiginosa e densa, grigiastra». È da questa calma piatta di pianure, pueblos e terre religiose che si genera il senso di oppressione, evapora l’inquietudine e cova la necessità di fuga. Così accade nel racconto che apre la raccolta, «Il re delle lepri»: il protagonista, che sceglie l’isolamento, vive in cima a una montagna, riservando al paese solo una fetta di orizzonte, con piccole luci in lontananza. Dorme su un letto di crescione, è funzionale alla natura e al paesaggio, integrato in un branco di lepri («si allinearono a semicerchio») per un mutuo bisogno: di difesa da predatori da un lato, di alimentazione dall’altro. La sua quotidianità si svolge in una grotta e in un bosco di pini. «Qui sto bene», nessuna nostalgia di casa.

Come in una sorta di ossessione, i pini – citati almeno cinquanta volte – popolano un po’ tutti i racconti: gemono, si stirano, giocano con il vento. In «La vita dei boschi», il vecchio Wutrich cerca un marito per sua figlia: Mabel deve sposarsi alla stessa velocità («Andiamo o si farà tardi») con cui il disboscamento avanza nella pineta dove si trova la loro casa. Sarà un forestiero a preoccuparsi che la amata Mabel non si annoi, che il freezer le pentole la stufa elettrica siano di suo gradimento. L’amore è semplice e disarmante: «Io voglio che lei stia bene. Che stiamo bene. Tranquilli tutte e due». Tutti i personaggi della raccolta sono ritratti con ampio respiro, così che il lettore ha il tempo di conoscerli a fondo: agiscono con pietà e risolutezza, parlano di sé attraverso i loro bisogni primari. Stanno bene, hanno fame o sete, fanno sesso.

Ideali sia l’opera che il luogo

«Un cimitero perfetto» è la storia – tra il surreale e l’inquietante – dell’ingegnere Víctor Bagiardelli che arriva nel paese sperduto in fondo a una vallata per progettare un capolavoro, un’opera perfetta in un posto ideale. «Verrà bellissimo», dice estasiata la segretaria del sindaco che ha commissionato il cimitero, così che finalmente i defunti non dovranno più essere «ceduti» al paese vicino. Ma la storia riguarda anche l’uomo anziano che è padre del sindaco e non intende dare la soddisfazione di morire: diversamente da quanto pretenderebbe suo figlio, il tempo non è ancora arrivato – dice.

Calmo e stabile, il ritmo dei racconti si avvale di una prosa libera da retorica, franca, senza saturazioni: sta qui la destrezza narrativa dell’ autore. Più volte Falco ha dichiarato di sentirsi a proprio agio nella scrittura dei racconti per la loro capacità di semplificare il mondo trasmettendo la sensazione che nel frattempo stiano accadendo un sacco di cose; ma il racconto libera dall’obbligo di spiegarle tutte.
«Silvi e la notte oscura», che merita di dare il titolo alla raccolta ruota intorno a una sedicenne costretta ad accompagnare la madre devota a somministrare l’estrema unzione, un giorno che il prete anziano non può andare. Silvi si ribella e pedala furiosa lontana dalla fede di famiglia. Poi si invaghisce di un giovane prete mormone: il sesso per lei è brusco, scomodo, sorprendentemente regalato a un personaggio di passaggio nella storia e nella sua vita («Il suo corpo non pesava più niente»).

Anche le comparse hanno un ruolo fondamentale in questi racconti devoti alla cura del dettaglio: ciò che conta – ha detto Falco nel corso di una intervista – è accendere la vivacità come l’inquietudine del lettore non dandogli un finale perfetto, lasciandolo invece aperto, con la certezza che porterà da un’altra parte.