«Chiunque dice che la FA Cup è morta non ha vissuto a Lincoln nelle ultime otto settimane». Così parlò Danny Cowley, il manager dell’omonima squadra della cittadina delle Midlands, prima dell’attesissimo match di quinto turno di coppa contro il Burnley, compagine della Premier League. Dopo quella partita possiamo solo immaginare quanto sia cresciuto il livello di passione ed entusiasmo attorno agli Imps, i diavoletti che dal 1884 giocano a calcio nelle divisioni meno nobili del mondo pallonaro inglese.
Battendo il Burnley con un rocambolesco goal nei minuti finali, il Lincoln è infatti diventato il primo club non professionistico dal 1914 (quell’anno l’impresa la fecero i londinesi del Queens Park Rangers) a raggiungere i quarti di finale della competizione più antica del pianeta. Un torneo che si gioca dalla stagione 1871-72 e che negli anni ha perso una porzione consistente del fascino che fino agli anni Ottanta rendeva il trofeo in palio quello più ambito nel panorama calcistico inglese. Poi sono arrivate le tv satellitari, la Premier, vagonate di quattrini e una iper-commercializzazione del prodotto football che hanno finito per sminuire la Coppa democratica per eccellenza. Sì, perché tutti possono partecipare, quest’anno ai nastri di partenza ad agosto erano in 736, e il sorteggio è libero dal primo dei tanti turni preliminari in poi.
Grazie anche a questa formula la FA Cup è in grado di regalarci storie ammantate di romanticismo come quella del Lincoln, capolista in quinta serie, ovvero il primo livello del cosiddetto football non-league (perché al di fuori delle 92 squadre professionistiche). Gli eroi dei tifosi biancorossi sono allora un barbiere, tale Nathan Arnold, uno che da grande voleva fare il lottatore e in maniera alquanto appropriata si chiama Alan Power, e due fratelli, il già citato Danny e Nick, che per la gestione tecnica del team traggono ispirazione dal video-gioco Football Manager. Evidentemente con risultati più che soddisfacenti. Perdonateci, ci stavamo dimenticando dell’ariete d’attacco (in senso figurato e non solo…), all’anagrafe Matt Rhead. Un omone di 106 chili che fino a qualche tempo fa era un operaio di una fabbrica di ruspe e quando ha iniziato a bazzicare le categorie dilettantistiche veniva pagato 30 sterline a partita.
Oggi gli Imps sbarcano all’Emirates Stadium di Ashburton Grove, nel nord di Londra. Davanti a 60mila spettatori se la dovranno vedere niente meno che contro l’Arsenal, la squadra, insieme al Manchester United, ad avere vinto più edizioni della Coppa d’Inghilterra, ben 12. Singolare come proprio i Gunners siano reduci da un’altra sfida con una «minnow» come dicono oltre Manica, quel Sutton United di cui tanto, forse troppo, si è parlato per le «gesta» del suo secondo portiere Wayne Shaw. Un altro ben oltre il peso forma e che dopo aver mangiato in panchina un tortino alla carne durante gli ultimi minuti dell’incontro con l’Arsenal è stato poi allontanato dalla dirigenza del club – pare che lo spuntino non fosse proprio improvvisato e che di mezzo ci fossero delle scommesse; in Inghilterra, si sa, si puntano soldi su qualsiasi cosa…
Speriamo che quello tra i campioni londinesi e i carneadi delle Midlands sia ricordato solo per fatti più attinenti alla sfera calcistica. Un altro giant killing – quando una piccola, meglio se di livello amatoriale, fa fuori una grande – è a dir poco improbabile vista la palese disparità delle forze in campo. A meno che gli Imps abbiano deciso di imitare i protagonisti del libro di James L. Carr Come gli Steeple Sinderby Wanderers vinsero la Coppa d’Inghilterra. Quella era finzione, ora tocca passare alla realtà.