Dal vivo, ma anche in studio, la band utilizza trattamenti particolarissimi, onde inventare continue tessiture sincopate, paesaggi sonori espansive che forse quarant’anni fa non si possono nemmeno immaginare. Le possibilità apparentemente illimitate di Soft Machine Legacy piacciono tanto ai fan dei Seventies, quanto ai sostenitori di una loro fusion aperta, spontanea, ricca di potenti groove e focose energie. Tra grandi sforzi, avventure soniche alle chitarre, loop di basso leggendari, batteria incalzante, fuzztronic e sistemi di campionamento sui fiati in tempo reale (stratificando alcune armonie imprevedibili), Soft Machine Legacy sembra talvolta assai più numerosa di un semplice quartetto. E se a tutto ciò si aggiunge un’offerta raffinata di materiali nuovissimi, di carica razional-emozionali e di prestazioni altamente virtuosistiche, si ottiene una leggende reale dell’arte musicale. Infatti le recente uscite discografiche di Burden of Proof a nome Soft Machine Legacy, di un tributo e di alcuni sorprendenti inediti, consente di tornare a parlare di una band che da quarantacinque anni è al centro della storia della musica, riuscendo, per una volta, a mettere d’accordo i fan del rock con il cultori del jazz: ma la vicenda di Soft Machine – nome tratto dall’omonimo romanzo di William Burroghs – ha del paradossale, rappresentando un unicum nella tipologia dei moderni gruppi musicali: della formazione iniziale con Robert Wyatt (batteria e voce), Kevin Ayers (basso), Daevid Allen (chitarra) e Mike Ratledge (tastiere) e anche Hugh Hopper quale «road manager», non resta nessuno, essendo oggi la Legacy composta da Theo Travis (fiati e tastiere), John Etheridge (chitarra), John Marshall (batteria e percussioni), Roy Babbington (basso).

Dal 1967 al 1979, in soli dodici anni si succedono ben ventitre musicisti; nel restante periodo, giunto sino a oggi, dunque altri trentaquattro anni, è addirittura impossibile tenere il conto delle new entry, anche perché i Soft Machine, inattivi discograficamente dal 1988 al 2002, in seguito con John Marshall, Hugh Hopper (basso), Elton Dean (sax), Allan Holdsworth (chitarre) si rifondano come Soft Work, divenuto nel 2005 Legacy. La leadership, in un ensembe peraltro assai democratico al proprio interno, passa di volta in volta da Wyatt a Ratledge, da Karl Jenkins (oboe e piano) a Hopper fino a Travis, oggi portavoce ufficiale, non a caso, contattato per quest’intervista esclusiva. In tutti questi anni, tra concerti e dischi, pur nei cambi frequenti, la poetica del quartetto resta di fatto inalterata, evitando di proposito le pesanti metamorfosi subite da altri gruppi dello stesso periodo (soprattutto in ambito prog) dove anche un’unica sostituzione può creare bruschi cambiamenti stilistici, come ccaduto ai Genesis post Peter Gabriel, alla Pfm senza Mauro Pagani o ai King Crimson con Robert Fripp come unico frontman e gli altri tre quarti in perpetuo ricambio.

La ragione di tanta coerenza, per Soft Macine, nonostante – va ripetuto – line up e sezioni ritmiche in bilico ogni due-tre anni, risiede quasi sicuramente nella proposta musicale che evolve subito dal primordiale sound beat-psichedelico alla definitiva messa a punto di un jazz rock molto britannico e dunque molto originale (rispetto ai modelli americani costruiti attorno a Miles Davis) che rimane intatto sino a Burden of Proof: il tutto però non va mai disgiunto dalle frequenti aperture culturali che si concentrano spesso sul doppio binario del free jazz sia in contatto con il black power sia nelle vicinanze del gioco cerebrale della creative music europea. Ma al di là dei tentativi classificatori, il suono dei Soft Machine ieri e oggi resta difficilmente etichettabile per la varietà delle opzioni e le novità ritmiche, timbriche, melodiche, di improvvisazione: forse davvero Soft Machine è in assoluto l’espressione migliore di quella Canterbury Scene che vive un momento magico soprattutto tra Sessanta e Settanta con una marea di gruppi come Wilde Flowers, Caravan, Gong, Hatfield and the North, National Health e, mescolati ad altri contesti, Camel, Centipede, Egg, Gilgamesh, Henry Cow, Isotope, Matching Mole.