Ci sono romanzi esplicitamente autobiografici e romanzi nei quali i riferimenti biografici dell’autore sono mascherati, comunicati in codice, disseminati come tracce autoreferenziali. Il nuovo romanzo di Angelo Cannavacciuolo Sacramerica (ad est dell’equatore, pp. 375, euro 18) appartiene in qualche modo alla seconda categoria. Naturalmente la percezione/interpretazione del lettore è differente se ci si accosta con vergine curiosità al testo o si conosce il percorso artistico e privato dell’autore. In realtà il testo di Cannavacciuolo, scrittore napoletano al suo quinto romanzo dopo aver scritto, diretto e interpretato per il cinema e la televisione, va letto come un interessante operazione criptometaletteraria che gli consente di spingere un’incontinenza narrativa nella direzione di un percorso di (auto)citazioni, di citazioni letterarie, cinematografiche, pittoriche e musicali, di stratificazioni creativo-esistenziali, di un sofisticato gioco di alternanza dei punti di vista dell’io narrante che è anche coprotagonista e del personaggio principale. Traspare un’insopprimibile voglia di raccontare per raccontarsi quasi ribaltando il senso della riflessione di Giacomo Debenedetti a proposito dei Saggi di Montaigne: “Un libro che vorrebbe o fa finta di presentarsi privato ed è subito pubblico”. Qui succede esattamente il contrario agganciandosi a ciò che sostiene il critico letterario americano John Freeman sul fatto che l’esistenza degli scrittori è sempre in qualche modo riflessa nelle opere. E già lo spunto del romanzo nasconde proiezioni/identificazioni tra realtà e finzione che attraversano la trama. Il critico letterario Giovanni Malcelati a San Cristòbal de las Casas dove si trova per un convegno, incontra Nanni Giuffrida, uno scrittore di cui si erano perse le tracce, che non conosce ma al quale è legato da un rapporto professionale, avendo recensito la maggior parte dei suoi romanzi. Giuffrida gli racconta la propria storia, quella di chi, pur avendo raggiunto una certa notorietà, ha deciso di sopprimere lo scrittore che è in lui. Con un’avversione nei confronti del mondo letterario, della fiera dei premi letterari, delle vacue polemiche fra critici e scrittori e di un mondo in cui tutti cercano di apparire, lui ha il desiderio di nascondersi, di rendersi invisibile. Giuffrida rivela che a spingerlo all’agognata invisibilità aveva contribuito l’incontro con Barbie Burns, un’americana conosciuta a Roma alla presentazione del suo ultimo romanzo per mettersi poi sulle sue tracce in California. Sullo sfondo scrittori, giornalisti, immigrati italiani di nuova generazione, la famiglia di lei a Sacramento, facoltose milionarie che coltivano il mito dell’eterna giovinezza. In Nanni Giuffrida è adombrato lo stesso Cannavacciuolo che da alcuni anni vive tra San Francisco e Napoli folgorato dall’americana Barbara, sua compagna, il critico Malcelati può essere uno dei critici che hanno recensito i suoi romanzi precedenti e non mancano precisi richiami alle sue opere, ai vincoli familiari molto forti, al desiderio di paternità. Il romanzo, però, è soprattutto una grande storia d’amore che parla di sogni e di incubi, di ribellioni e di rassegnazione. Lo stile è abbastanza ricercato ed icastico soprattutto in alcune descrizioni vivide e colorite. Per raccontarci la Coachella Valley in California, l’autore mette in campo una scrittura paziente e minuziosa per osservare con curiosità i destini di ogni persona come della forma di ogni cosa. Quella tra visibilità e invisibilità non è l’unica contrapposizione presente in Sacramerica. Ci sono contrapposizioni ideologiche o filosofiche tra assolutismo e relativismo, repubblicani e democratici, tradizione e modernismo ma anche quelle più esistenziali o etiche tra attivismo e rassegnazione, peccato e redenzione, Stati Uniti e Messico. Più che la densità del plot e i dialoghi fitti e incalzanti che si rincorrono in un’ansia di completezza esplicativa, in Sacramerica contano l’intensità delle sensazioni, l’intenzione di rendere tangibili i sentimenti primari, l’abilità di far serpeggiare dietro le frequenti brillanti conversazioni l’inquietudine di uno scrittore Giuffrida/Cannavacciuolo. Sulla quarta di copertina è riportato il lusinghiero giudizio dello scrittore americano Jay Parini che cita Philip Roth. Ma ci sono anche echi del Merleau-Ponty di Il visibile e l’invisibile e dei concetti del “desiderio di fuga” e dell’“elogio della sparizione” del sociologo-antropologo David Le Breton.