Complice la Festa dell’8 marzo, affiorano nelle sale, non solo italiane, film fino a ieri nel cassetto, dimenticati.
Alla Cineteca Italiana di Milano, due ottimi documentari : Kusama-Infinity di Heather Lenz (già al Festival dei Film sull’arte di Firenze) sulla più acclamata artista giapponese, Yayoi Kusama, 90 anni, che dal 1977 vive per sua scelta in un ospedale psichiatrico da cui esce ogni giorno per lavorare in studio a Shinjuku, e Romy Schneider : 3 jours à Quiberon di Emily Atef (dalla Berlinale 2018), sul soggiorno nell’81 in un lussuoso resort termale in Bretagna, raccontato attraverso un’intervista destinata a diventare il suo testamento d’attrice e di donna. Dalla Berlinale di quest’anno, arriva Delphine et Carole, insoumuses, viaggio al cuore del «féminisme enchanté» di Delphine Seyrig e Carole Roussopoulos, entrambe protagoniste negli anni 70 di lotte per l’emancipazione femminile ( … ma anche maschile) : gli fa da controcanto Segretarie-Una vita per il cinema dove Daniela Masciale e Raffaele Rago rimettono in luce le donne dell’ombra, anima segreta (segretaria) dell’età d’oro del nostro cinema, le segretarie di produzione di registi come Fellini, Visconti, Monicelli, Zurlini e di produttori come Cristaldi, Lombardo, De Laurentiis.
Dopo il premio speciale ricevuto al primo Festival Droits des Femmes & Cinéma, la Francia rilancia il libanese Nour di Khalil Dreyfus Zaarouri, su una ragazzina quindicenne e la sua banda d’amichetti, le cui giornate d’incanto innocente sfumano di colpo quando la famiglia la costringe a un matrimonio d’interesse. Vittima di (in)giustizie sociali nel moderno Marocco è anche la protagonista di Sofia, da oggi all’Institut Français di Milano, dove rispunta, a quasi un anno dalla presentazione a Un certain regard di Cannes e dal premio per la sceneggiatura, bissato al Festival francofono a La Rochelle. Rilanciato in Francia dai Rendez-vous di Unifrance, il film si apre con una ferita : «Sono punite con la detenzione da un mese a un anno tutte le persone di sesso diverso che, senza essere unite in matrimonio, abbiano tra loro rapporti sessuali». L’articolo 490 del codice penale marocchino si spalma sullo schermo portandoci subito in medias res. Pranzo di famiglia nella zona più borghese di Casablanca. Sofia, 20 anni, non capisce ancora che i suoi dolori addominali sono i primi segni d’un parto. La cugina ‘occidentalizzata’ l’accompagna in ospedale, anche per affrontare la questione giuridica: entro 24 ore va presentato alle autorità il padre del neonato. Seguiranno strategie di piccolo cabotaggio, confronti di classe, compromessi facilitati dal denaro, corruzioni. Per il suo primo lungometraggio (preceduto da un cine-saggio sulla primavera araba, After Shave, e dal corto di fine studi, Jennah, nominato agli Oscar 2015), Meryem Benm’barek, 34 anni di esuberanza fisica e bellezza mediterranee, s’addentra in un soggetto scottante ma anche, come lei precisa, « tristemente banale », con partecipazione emotiva non scevra da qualche cliché.
Un ritratto del Marocco molto negativo, no ?
Purtroppo la vicenda del film non è un’eccezione : è invece ricorrente, in Marocco è la norma. A Casablanca, ogni giorno, partoriscono quasi 150 donne e ragazze non sposate. Un vero flagello con il quale i marocchini si confrontano continuamente. Il problema delle madri celibi è così diffuso che non è nemmeno più un argomento tabù. Sofia è una storia tristemente quotidiana.
Tra oppressione sociale e tocchi di miserabilismo, il Paese appare sospeso tra modernità e religione : come rileggere il libro di Leïla Slimani, «Sexe et mensonges: la vie sexuelle au Maroc».
È una società dove la donna non può che essere vergine o sposata. Attraverso la mia protagonista critico il sistema, apro gli occhi sui violenti condizionamenti imposti alle donne in Marocco : lasciata a sé stessa, alla sua angoscia, lei gioca con le carte che le dà la società. È una denuncia ferma dell’assurdità e dell’ipocrisia delle leggi che controllano la vita dei cittadini.
La legge, anche lì, non è uguale per tutti.
Le donne sono tanto più vittime della società patriarcale quanto più economicamente fragili. È una legge chiaramente arbitraria e discriminatoria : le vittime sono soprattutto le diseredate. Tutti i marocchini hanno una vita sessuale, non obbligatoriamente piena o sana ma le cui ‘conseguenze’ si sistemano più facilmente se si è agiati. Con i soldi, in Marocco, ci si può infischiare di qualsiasi legge. Spero che il film riesca a sollevare discussioni. L’ho costruito come un grande punto interrogativo. Non do risposte. Quell’articolo 490 è all’origine di gravi problemi : quello delle ragazze-madri, certo, ma anche dei loro figli, il loro abbandono, l’infanticidio, l’aborto.
L’aborto è autorizzato?
È in discussione una legge per autorizzarlo in alcuni casi : è ora a un buon punto. Ma in Marocco ci s’aggiusta sempre, basta avere i mezzi, i contatti giusti. La vera questione è dunque : chi può permetterselo e chi no?
Il prossimo film : altro punto interrogativo ?
Ho un’idea chiara: penetrare nel rapporto nord-sud, sguardo dell’Occidente sul mondo arabo e del mondo arabo sull’Occidente, attraverso una storia d’amore. Soggetto già abbordato in parte in Sofia con il personaggio della cugina. Ma stavolta girerò il film in Francia.