Entra in una nuova fase, in Bulgaria, il muro contro muro tra i manifestanti e il governo di centro-sinistra guidato dal premier tecnico Plamen Oresharski. Dopo aver protestato pacificamente per quaranta giorni nelle strade della capitale Sofia, nella serata di martedì, i cittadini che si oppongono all’esecutivo hanno dato una forte accelerata alla contestazione con un assedio non solo simbolico, ma anche fisico, all’edificio del parlamento, dove si trovavano alcune decine di deputati che avevano appena discusso contestate misure economiche.
Il tentativo della polizia di forzare il blocco, respinto a causa della tenace resistenza dei manifestanti, è presto degenerato in violenti scontri, con alcune decine di feriti. Ai deputati, «ostaggio» della folla, non è restato che aspettare fino alle prime ore dell’alba di ieri, quando i parlamentari sono finalmente riusciti a lasciare l’edificio dell’Assemblea nazionale.
Dopo gli scontri, i primi dall’inizio della contestazione innescata a inizio giugno dalla contestata nomina a capo dei nuovi servizi segreti del deputato e magnate mediatico Delyan Peevski, in molti si aspettavano un passo indietro da parte del fragile governo Oresharski, frutto della coalizione tra partito socialista e Movimento per le libertà e i diritti (il rappresentante delle istanze della minoranza turca). Una coalizione che gode di una risicatissima maggioranza e per il quorum in aula dipende dai voti del partito ultra-nazionalista e xenofobo Ataka.
Per voce del leader socialista Sergey Stanishev l’esecutivo ha però scelto la linea dura, accusando i manifestanti di aver cercato la radicalizzazione dello scontro. «C’è un evidente tentativo di forzare la mano per elezioni anticipate e di far tornare a tutti i costi Gerb (il partito di centrodestra al governo fino al febbraio 2013 al potere», ha dichiarato a caldo Stanishev.
Nella maggioranza sono però sempre più chiari i segni di nervosismo. Alcune voci, come quella dell’eurodeputato Ivaylo Kalfin, già candidato alla presidenza per i socialisti, sembrano ormai rassegnate alla prospettiva di nuove elezioni anticipate, richieste a gran voce dalla piazza.
Anche il presidente in carica, Rosen Plevneliev, ha fatto esplicito riferimento alla necessità di trovare una via d’uscita all’attuale vicolo cieco. Plevneliev si è detto pronto a convocare d’urgenza il Consiglio consultivo per la sicurezza nazionale, allo scopo di favorire una soluzione politica allo stallo.
Le attuali proteste segnano il prolungarsi di una lunga fase di instabilità politica in Bulgaria, il paese economicamente più povero dell’Unione europea. Lo scorso febbraio proteste contro i monopoli che controllano l’economia nazionale e contro il drastico aumento delle bollette avevano portato alle dimissioni del premier populista Boyko Borisov.
Le elezioni non hanno però migliorato la situazione, disegnando un parlamento frammentato e poco rappresentativo. Le prime nomine del nuovo esecutivo, soprattutto quella di Peevski, hanno messo in grande difficoltà il governo fin dall’inizio. Al cuore della contestazione c’è la corruzione diffusa, ma soprattutto il rigetto di un sistema politico-economico oligarchico emerso durante gli anni duri della transizione democratica, sistema che tiene in scarsissima considerazione le richieste di trasparenza e responsabilità invocate da una parte sempre più ampia della popolazione, che vuole sentirsi pienamente europea non solo sulla carta, ma anche nei fatti.
Se però è evidente la crisi di rigetto verso l’intera élite, meno chiaro resta lo sbocco delle proteste. Senza riforme importanti, come quella del sistema elettorale, nuove elezioni potrebbero replicare l’attuale situazione. O addirittura crearne una peggiore.

* osservatorio Balcani Caucaso