Come nei momenti di crisi politica è bene tornare a studiare i classici, così cominciamo dai classici anche per quanto riguarda il cinema, una sezione che alla Mostra offre riletture e motivi di riflessione sul perché questo settore artistico non si stia dissolvendo.

La scomparsa di István Gaál nel 2008 è passata piuttosto sotto silenzio sulla nostra stampa, eppure i suoi film avevano segnato un momento alto di cinema negli anni Sessanta, in particolare il suo film d’esordio Sodrásban (Corrente) in programma l’1 e 2 settembre. Tra i cineasti della nuova generazione fece scalpore a Cannes del ’64 dove vinse il premio della Giuria premiato a Karlovy Vary e a Pesaro e puntò l’attenzione internazionale sul nuovo cinema ungherese. Quel suo primo film a cui seguì l’ altrettanto stupefacente Magasiskola (Alta scuola distribuito come I falchi) era stato preceduto da una serie di corti e documentari, ma soprattutto dalla borsa di studio che lo aveva portato a studiare al Centro Sperimentale di Roma dal ’59 al 62, compagno di studi di César Saraceni, Cavani e Bellocchio.

Sodrásban esprime una ritmica poetica a più livelli, si serve di tracce liriche e visive utilizzando un intreccio ripreso anche altre volte nelle cinematografie dei paesi socialisti, considerato quasi d’obbligo, il passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Il gruppo di lavoro porta l’illustre nome di Sandor Sara come direttore della fotografia che firmerà in seguito i film di Szabo, Ferenc Kosa e anche di quel genio del cinema che fu Zoltan Huszarik dalla breve vita e scarsa filmografia che contiene il capolavoro Szindbad e che compare nel cast di István Gaál come assistente o meglio «accompagnatore» alla regia. E giovanissimi interpreti tra cui Andrea Drahota e Kozak Andras che ritroveremo poco dopo nei film di Miklos Jancso.

Un gruppo di giovani studenti, durante le vacanze fanno il bagno nel fiume, ma durante la gara ad immergersi per pescare l’argilla sul fondo uno di loro scompare, se ne accorgeranno più tardi restando sgomenti, mentre polizia e pescatori tentano di rintracciare il corpo portato via dalla corrente. Dopo tre giorni il corpo è ripescato, l’estate è finita, alcuni torneranno in città. Con il loro compagno è scomparsa anche la giovinezza, inizia l’età matura, è tempo di ripensamenti, bilanci e riflessioni. È anche un film su come sia fugace la memoria anche di ciò che è appena passato, difficile ricordare anche per lo spettatore il volto del ragazzo scomparso, eppure ognuno viene messo in scena con una sua personalità precisa, azioni diverse, giochi quasi infantili e performance da adulti. Ma poco dopo chi ricorda più i compagni di scuola?

Dal pretesto di partenza sul passaggio all’età adulta, si passa a riflessioni sul rapporto tra comunità e individuo con le sue responsabilità (anche questa una tematica basilare nel cinema dell’est di quegli anni).

Ma è nella composizione di Sodrásban che il film si rivela nella sua complessità formale. Artigiano del cinema come gli piaceva definirsi István Gaál presiede come un artista rinascimentale a tutte le fasi della lavorazione, dalla sceneggiatura al montaggio. È una complessa composizione influenzata da pittura e musica, come rivelano alcune sue riflessioni in proposito: «ricordo che durante le riprese di Sodrásban (Corrente) c’è stato un momento preciso di una poesia di Sandor Weores «Fughetta» (in italiano nel titolo, ndr.) che è stata decisiva per me. Un piccolissimo verso …«un raggio cade» cambiava posto di strofa in strofa passando dal primo piano al secondo, poi al terzo…sono rimasto stupefatto di vedere come questo mutamento determinasse la struttura dell’intero poema. È così che ho girato la scena dei ragazzi che tornano dal commissariato: cominciano a guardarsi ed io, girando attorno a loro con la camera ho sempre accordato il loro sguardo uno con l’altro, come nella fuga, una linea legata all’altra».

Bisognerà anche sottolineare che il poeta ungherese Sandor Weores (1913-1989) dalle tematiche simboliste e surrealiste, viaggiò a lungo e fu influenzato dalla filosofia orientale, traduttore di poeti indiani, cinesi, francesi oltre che di Dante, Leopardi e D’Annunzio. Un alter ego si direbbe, visto che anche Gaál avrà in seguito varie esperienze in questo senso, delegato al Festival di cinema indiano negli anni ’70 e poi chiamato a insegnare nelle scuole di cinema in India, oltre che cultore dei classici latini e greci, suoi compagni privilegiati negli ultimi anni di vita, resa durissima dall’ostracismo che le autorità gli opposero per le sue frequentazioni all’estero e per il suo spirito indipendente.