Continua il travaglio del Partito socialista spagnolo (Psoe) dopo il pessimo risultato delle europee (23%, il peggiore del dopo-Franco). Le dimissioni del segretario Alfredo Pérez Rubalcaba e la convocazione di un congresso straordinario, a luglio, per eleggere il successore avevano suscitato reazioni sfavorevoli: in molti avrebbero preferito celebrare il congresso dopo le primarie per scegliere il candidato premier, già programmate per l’autunno.

Secondo i critici, il congresso per il rinnovo dei vertici è un momento solo interno al partito, dove a contare sono i «baroni» locali: il coinvolgimento dei militanti è scarso, quello degli elettori nullo. Le primarie per il candidato «presidente del gobierno», invece, sono viste come una chance per il Psoe di aprirsi alla cittadinanza, sul modello italiano. Alcuni dicono: l’ultima chance.
A sostenere le tesi «pro-gazebo» sono soprattutto i due principali aspiranti a sfidare Mariano Rajoy l’anno prossimo: il basco Eduardo Madina, già segretario dei giovani socialisti, e la catalana Carme Chacón, ex ministro delle difesa e avversaria di Rubalcaba all’ultimo congresso. Sconfitta di un soffio nel voto dei delegati nel 2012, Chacón non ha rinunciato alle proprie ambizioni, ma sa di non poter vincere se a decidere è l’«apparato» del partito. Il suo disegno è chiaro: farsi votare dai cittadini candidata premier e dopo, forte di questa legittimazione popolare, «prendersi» anche il partito. Madina gode di maggiore consenso interno, e in una competizione congressuale con la catalana partirebbe favorito.

I difensori dell’opportunità di convocare prima il congresso delle primarie ritengono invece che dopo la débâcle elettorale sia il momento di «mettere in sicurezza il partito», trovando subito una leadership forte, che goda dell’appoggio delle strutture territoriali.

Tutti sanno che l’identikit di questa «leadership forte» è quello della 39enne Susana Díaz, che in Andalusia guida sia l’amministrazione regionale sia la federazione del Psoe, che da sola vale un terzo del partito. Se diventasse leader nazionale dopo un congresso plebiscitario, avrebbe ancora un senso celebrare le primarie in autunno? Questa è la domanda che turba i sonni dei dirigenti.

La diretta interessata per ora non si esprime, nell’attesa di capire l’opinione degli altri «baroni» regionali. Ogni giorno cresce il numero di quelli che la sostengono: ieri all’appello mancavano solo il segretario dell’Estremadura e quello delle Asturie. Rubalcaba ha dichiarato la propria neutralità, ma non è un mistero che tutta la vecchia guardia veda nella governatrice andalusa la migliore soluzione. I due aspiranti candidati premier fanno buon viso a cattiva sorte, sperando che la segretaria in pectore dichiari di non voler assumere anche il ruolo di sfidante di Rajoy alle politiche del prossimo anno.

Per venire incontro ai critici, Rubalcaba ha proposto che l’assise di luglio sia un «congresso aperto», una via di mezzo tra un congresso tradizionale e le primarie: a scegliere il segretario sarebbero tutti gli iscritti attraverso un’elezione diretta. Per farlo, però, serve modificare in fretta lo statuto, «e la condizione – ha affermato Rubalcaba – è che ci sia unanimità nel gruppo dirigente». Anche se ciò accadesse, non è detto che un congresso «aperto» sciolga il nodo delle successive primarie, anzi: rischia di aggrovigliarlo ancora di più.