Le primarie democratiche di New York City non sono state una passeggiata fra ritardi e problemi, ma una cosa è certa: i socialisti sono organizzati e hanno un progetto. Il Dsa (Democratic socialist of America) aveva candidati in varie posizioni oltre a quella per il sindaco vinta poi dal moderato Eric Adams, ma con il Consiglio che ha di fronte un ricambio di rappresentanti significativo a causa dei limiti dei mandati e dei pensionamenti, l’organo legislativo di New York è destinato a essere uno dei più progressisti nella storia della città, e con una varietà che rispecchia la città che rappresenta. «Vedremo un gruppo di politici che riflette più chiaramente le persone che rappresentano» dice Tiffany Cabán, ispanica, apertamente queer e socialista, dopo aver vinto le primarie del Consiglio del Queens, zona dove il candidato repubblicano a novembre non ha speranze

Come ha gestito la campagna elettorale?
Ci siamo mossi su due piani: da un lato abbiamo raggiunto le persone che di solito non sono coinvolte nel processo democratico, ma che sono anche le persone più colpite dal sistema capitalista, dall’altro siamo riusciti a veicolare la nostra visione del sociale, che è centrata su i bisogni dei lavoratori. In questo modo abbiamo portato alle urne più persone della classe lavoratrice. Ha funzionato, abbiamo vinto con un ampio margine. Non lo davo per scontato ma sapevo che stavamo facendo qualcosa di potente nelle nostre comunità. C’erano più di 200 volontari a lavorare sulla campagna.

Per me non si trattava solo di prendere abbastanza voti per avere il privilegio di rappresentare il mio distretto nel consiglio comunale, ma usare la campagna per organizzare il territorio. Ti faccio un esempio: questa è la seconda volta che mi candido, fino a 2 anni fa ero un avvocato difensore d’ufficio, è stato il mio lavoro per oltre 7 anni, rappresentavo persone per ogni tipo di reato, dall’avere saltato il tornello della metropolitana agli omicidi. Due anni fa mi sono candidata come procuratore distrettuale qui, nel Queens, e ho perso per 55 voti su oltre 90mila. Ma in quell’occasione ho avuto il supporto della comunità del Bangladesh, e dopo quell’esperienza sono diventati i Bangladeshi Americans for Political Progress, un gruppo progressista che poi ha gestito e reclutato e sostenuto candidati del Bangladesh e di altri gruppi a un livello iper locale. Questo è fantastico. È il tipo di cose che vuoi aiutare a nascere. Ciò di cui c’è bisogno è un lavoro capillare, di concentrarci sulla creazione di leadership, sulla sensibilizzazione per l’impegno civico. E lo stiamo facendo.

Fino a 10 anni fa «socialista» era praticamente un insulto. Cosa è cambiato?
Un paio di cose. Uno, la disuguaglianza nella nostra società è ormai un abisso in crescita, mentre la concentrazione del potere è sempre più piccola, il potere è sempre in meno mani. Due: ci sono persone che lottano da generazioni per i valori socialisti, semplicemente non usando il termine socialista. Si tratta, quindi, anche di allargare e costruire relazioni tra i quartieri, tra le comunità, i distretti, la città per capire che in fondo stiamo tutti parlando della stessa cosa, che vogliamo assicurarci che il nostro governo sia gestito dalla classe lavoratrice, che stiamo impegnandoci in un vero processo democratico e costruendo una società in cui le persone hanno la possibilità di accedere ad alloggi a prezzi accessibili, assistenza sanitaria, istruzione, opportunità di lavoro. Questi sono desideri universali della classe lavoratrice. L’intersezione di tutte le nostre identità ed esperienze è ciò che ha permesso al socialismo e all’uso della parola socialismo di crescere, in particolare nella nostra città e nel nostro Stato.

Con che mezzi si allarga il socialismo?
Tutto inizia a livello iper locale e saturando le posizioni di potere. Tutte queste cariche locali occupate dal maggior numero possibile di socialisti democratici rende molto più probabile e realizzabile avere socialisti ai livelli più alti. E le nostre elezioni presidenziali ne sono un buon esempio. Sai, la gente dirà che è stato un fallimento presidenziale per i progressisti perché non abbiamo avuto il presidente progressista dei nostri sogni, ma se guardi a tutte le competizioni elettorali, in tutto il Paese, abbiamo vinto in tanti modi diversi. Ora abbiamo socialisti in cariche statali, cittadine, e poi guarda anche la politica sociale nazionale, guarda al Congresso, ad esempio, che promuove politiche e leggi che significano creare quell’infrastruttura sociale di cui parlavo. Bisogna guardare l’intero quadro, vedere i cambiamenti e capire che stiamo costruendo, dal livello iper locale in su.

Perché é entrata in politica?
È stata una tempesta perfetta di eventi. Non mi ero mai veramente impegnata politicamente anche se vengo da un quartiere a basso reddito. La mia famiglia è cresciuta in case popolari e abbiamo sperimentato cosa fa l’austerità alle nostre comunità. Sperimentato l’esposizione alla violenza, ai problemi di salute mentale, all’uso di sostanze, a problemi economici e di sicurezza. E sono diventata un avvocato difensore d’ufficio a causa di quelle esperienze, ma non pensavo a come rendere il mondo un posto migliore. E penso che sia così per molte persone. Ma penso che ci sia stato un vero cambiamento negli ultimi anni.

Il 2018 è stato il momento in cui ho visto eleggere pubblici ministeri progressisti, e ho pensato per la prima volta cosa volesse dire mettere questo tipo di persone in quell’ufficio, e che si poteva parlare di queste cose e vincere, occupare queste posizioni. Questo cambia la vita delle persone quasi immediatamente. E lo stesso é accaduto per un certo numero di membri del Senato di New York dove sono state elette persone come Jessica Ramos e Julia Salazar e allo stesso tempo, Alexandria (Ocasio-Cortez, ndr) era entrata in scena battendo un gigante. Proprio in quel periodo io facevo parte dell’organizzazione contro l’arrivo di Amazon nel mio quartiere, un’altra battaglia alla Davide e Golia che abbiamo vinto. In molti hanno visto le possibilità di cambiamento e si sono fidati di queste possibilità. Di certo è ciò che fatto io.

Come sarà il rapporto col nuovo sindaco?
Non ci avviciniamo a quello che molti di noi che hanno i nostri valori politici avrebbero voluto vedere, quindi dobbiamo essere pronti, come organismo, a controbilanciare e a sostenere le soluzioni che vogliamo attuare. Dobbiamo usare ogni livello a nostra disposizione per creare il tipo di volontà e pressione politica per fare in modo che qualunque sindaco debba soddisfare almeno una parte significativa delle nostre richieste durante il suo mandato. E sarà una battaglia, ma una battaglia che la gente è molto pronta a combattere.

Apparentemente il problema principale a New York in questo momento, sembra essere la sicurezza. Lo è?
In generale la sicurezza pubblica è la cosa più importante per la maggior parte delle persone. Quello che ci viene fatto credere però è che la soluzione che la maggior parte delle persone si aspetta è vedere più polizia. In realtà le persone vogliono più sicurezza, non più polizia Abbiamo tante prove empiriche e dati da sapere che la maggior parte delle persone vede un percorso verso la vera sicurezza, non equivalente a più polizia, perché la sicurezza si raggiunge garantendo un alloggio, assistenza sanitaria, assistenza psicologica, istruzione e opportunità di lavoro, e questo riduce la violenza armata dal 30 al 70%. Mentre è solo il 4-5% del tempo, dell’energia e delle risorse della polizia ad essere dedicate alla risposta ai crimini violenti. E questo non è interrompere un ciclo. Non è prevenire.

Per quanto tempo continueremo a dire, «ehi, usiamo una delle forze di polizia più militarizzate del mondo e continuiamo ad aumentare la loro militarizzazione senza vedere aumentare la sicurezza dei cittadini»? Sono altri gli investimenti che portano sicurezza. E poi dobbiamo anche rifiutare questa idea di responsabilità completamente personale, la responsabilità è più ampia. Inizia e finisce anche con i sistemi che creiamo e che mettono le persone in situazioni in cui abbracciano il crimine.