Questa volta la solidarietà non è sufficiente, capire e denunciare non basterà perché il cambiamento di cui abbiamo bisogno è una controffensiva di prospettiva e di sistema. Dopo la pandemia siamo noi la cura: dobbiamo amazzonizzarci. Vivere sentendosi parte della natura come chi vive nella foresta amazzonica, che non è solo un bosco, ma un sistema vivente, di valori, una comunità, l’economia del buen vivir che il Capitalocene non ci potrà mai assicurare».

Wemerson Santos, del Forum sociale panamazzonico, ha aperto così, con un pubblico online di oltre 3 mila persone di tutto il mondo, la due giorni dell’Assemblea Mondiale dell’Amazzonia.

Un grido di dolore «perché piangiamo, a causa della politica genocida del governo Bolsonaro, il grande nemico dei popoli indigeni – ha denunciato Sonia Guajajara, leader della Articulação dos Povos Indígenas do Brasil – A causa dei tagli alla sanità del territorio, dell’entrata illegale nei nostri territori, permessa dal Governo, dei trafficanti di legna, dei cercatori di minerali, dei paramilitari, secondo i nostri dati oltre 12 mila indigeni sono stati contaminati dal Covid, di 113 popoli anche tra quelli volontariamente confinati, e 479 sono i morti nella sola Amazzonia brasiliana soprattutto tra i nostri anziani, con i quali scompare il nostro spirito e la nostra identità, poco a poco. Quello che vuole Bolsonaro, per fare posto alle miniere e all’agrobusiness, attacca Sonia.

Il pensiero va al capo del popolo Kayapo, Raoni Metuktire, novant’anni di lotta per la foresta viva riuscito nell’impresa di riunire quasi 600 leader insieme a Sonia e Angela Mendes, la figlia del sindacalista Chico Mendes, nella lotta al governo «genocida, etnocida e ecocida» di Bolsonaro. Si temeva il Covid anche per lui, quando è stato trasportato dal suo Xingu in ospedale, in condizioni di salute delicate. «Ma non è il Covid il nostro sicario – aveva tuonato il cacique– è il Governo Bolsonaro e la sua avidità». La Commissione Europea si è affrettata a firmare un accordo-quadro di liberalizzazione commerciale con Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay, l’area Mercosur, senza attendere la conclusione della valutazione d’impatto allo sviluppo sostenibile che ha commissionato sull’operazione. Ma uno studio condotto da Science su 815 mila proprietà rurali individuali ha scoperto che un quinto delle esportazioni di soia brasiliana verso l’Europa e almeno il 17% dell’export di carne causano deforestazione.

Lo studio arriva pochi giorni dopo il nuovo monitoraggio satellitare che ha mostrato che la deforestazione in Brasile è aumentata nuovamente a giugno, per il 14esimo mese consecutivo. Il Garante europeo, su richiesta di 5 ong, ha aperto una procedura per capire se la Commissione Ue fosse obbligata a attendere i risultati della valutazione prima di chiudere l’accordo. In ogni caso la ministra dell’agricoltura tedesca Julia Klöckner, alla guida dei ministri europei come presidente di turno, ha ammesso che «apparentemente gli obiettivi o le condizioni che abbiamo imposto a quei Paesi in termini di sostenibilità non vengono rispettati e penso che sia un grosso problema visto che i nostri agricoltori sono obbligati a rispettarle».

Amazzonia, però, non è solo Brasile. Pablo Solon, ex diplomatico del primo governo di Evo Morales e oggi a capo di una fondazione che coordina l’80% delle organizzazioni ambientali del Paese, ha ricordato all’Assemblea per l’Amazzonia che nel 2019 in soli due mesi sono andati in fumo 5,3 milioni di ettari di foresta, un equivalente di 40 milioni di alberi, per colpa dei «chaqueos», ossia i roghi accesi per liberare il terreno per attività agricole e zootecniche. Nel 2018 la Bolivia si era già classificata al quinto posto dei Paesi che al mondo avevano perso più foresta, al primo posto il Brasile che nel 2019 ha visto crescere ancora dell’80% i tassi di deforestazione.

Natalia Green, che ha contribuito all’adozione dello statuto dei Diritti della Natura nella Costituzione dell’Ecuador, ha ricordato i danni del settore estrattivo nel Paese, la contaminazione delle vie d’acqua e la repressione dei difensori della selva. «È tempo di smettere di pensare che dobbiamo proteggere la natura e riconoscere che, come ogni altra forma di vita sulla Terra, siamo natura – ha sottolineato Green – Riconoscere la Terra come un sistema vivente di cui gli umani fanno parte, piuttosto che come proprietà umana da possedere e distruggere a beneficio dei pochi più ricchi». Una direzione ripresa dal cardinal Pedro Barreto, della rete ecclesiastica panamazzonica, che ha portato all’assemblea la benedizione di papa Francesco: «Questo virus che ci entra nei polmoni e ci asfissia, funziona come il virus dell’economia estrattiva e del profitto che ruba l’aria al pianeta e ci uccide», ha denunciato. «L’Amazzonia non solo ci potrà unire in una unica causa, ma ci aiuta a capire che la diversità culturale ci arricchisce e non ci minaccia. Ci permette di essere protagonisti di questo sogno sociale che Francesco ci lancia con il documento Querida Amazonia. Questo mistero della grandezza della natura che non è solo vegetazione, ma un ecosistema vivente che come tale ci chiede di viverlo e di vivere, ovunque ci troviamo».

L’appello, rilanciato dalle ecofemministe, dai giovani di Extinction Rebellion e dei Fridays for future, dai contadini, dagli artisti, si consolida in un programma con tre piani di azione: amazzonico e latinoamericano, poi internazionale, perché amazzonizzarsi diventi esigenza globale. Il primo agosto, giorno della Pachamama, e il 14 agosto, giornata d’azione contro la deforestazione e l’estrattivismo, parte l’invito a mobilitarsi con presidi di fronte alle ambasciate dei Paesi dell’area, in primo luogo Brasile e Bolivia. Dal 28 al 30 agosto i Fridays brasiliani lanciano tre giorni di raccolta fondi per le comunità indigene, mediattivismo e street art, per preparare lo Sciopero globale del 22 settembre, dopo le prove generali del 5 settembre a Londra, prima ribellione post Covid di Extinction Rebellion. Si guarda anche a ottobre, quando nel Parlamento europeo potrebbe essere votato l’accordo di liberalizzazione commerciale Eu-Mercosur, contro cui è al lavoro una larga coalizione internazionale.

L’Italia è stato il Paese con più presenze all’Assemblea dopo il Brasile: «È il segnale che in tante e tanti, in un’Italia tanta colpito dalla pandemia, ne hanno imparato le dure lezioni e non vogliono sprecarle – commenta Raffaella Bolini dell’Arci, che facilita il gruppo italiano della rete Dialogo Globale che sostiene questo processo – Non vogliono tornare a una normalità peggiore del pre-Covid e subire una nuova crisi». Il Dialogo, insieme a Fairwatch, Attac, Laudato sì, associazioni e reti, sta lavorando a una nuova convergenza nazionale che guarda all’Amazzonia con attenzione: «Spero che l’energia di questi due giorni, l’urgenza, ci aiutino a fare massa critica verso una nuova narrazione unitaria del mondo, appassionante e forte. Se ci amazzonizzeremo? Lo spero davvero».