Come denunciato sul suo stesso profilo, nel weekend scorso, Instagram ha censurato una foto del reporter Michele Lapini scattata durante il corteo in solidarietà con il popolo curdo svoltosi a Bologna mercoledí 9 ottobre. Nell’immagine, anche se non visibile completamente, compare uno striscione con scritto «Erdogan assassino».

L’autore ha provato a ottenere spiegazioni dal social, ma l’unica informazione ottenuta è che il post in questione «viola gli standard in materia di persone e organizzazioni pericolose». Quasi nelle stesse ore e con la stessa motivazione, Facebook ha oscurato la pagina di Binxet – Sotto il Confine, documentario di Luigi D’Alife (con la voce narrante di Elio Germano) che racconta la resistenza del Rojava e le responsabilità dell’Europa nelle atrocità del confine turco-siriano.

La pagina del filmato, attiva da febbraio 2017, forniva aggiornamenti in tempo reale dalla Siria del Nord, arrivando a più di 500.000 visualizzazioni nell’ultimo periodo. A seguito della censura, Distribuzioni dal Basso sta consigliando di consultare gli aggiornamenti direttamente dal blog, non soggetto alle censure. Sono solo due esempi di una lunga lista: la pagina della Rete Kurdistan Cosenza è stata chiusa, con la sospensione di 90 giorni dell’account personale di uno degli amministratori. I post incriminati raffiguravano i volti di Abdullah Öçalan e Leyla Güven e iniziative pubbliche. Idem per la pagina Palermo Solidale con il Popolo Curdo.

Andando indietro nel tempo i casi simili non si contano. Come riportato sul manifesto il 5 febbraio 2015 la pagina della campagna Rojava Calling fu bloccata, e poco dopo Facebook eliminò una vignetta di Zerocalcare con la scritta Cizira-Botan Resiste, per denunciare il massacro di Cizre dell’esercito turco contro uomini, donne e bambini che ha provocato 28 morti ed oltre 100 feriti. Anche Rete Kurdistan e la pagina del centro culturale Ararat si sono viste eliminare eventi e contenuti. Nel febbraio del 2018 la piattaforma rimosse, senza preavviso o altre informazioni, il profilo di Davide Grasso, autore di Hevalen.

Per quanto riguarda casi fuori dall’Italia nel 2015 il sito francese Streetpress denunciò la censura della campagna Fuck Daesh, support PKK. Secondo le ultime statistiche, in tutto il mondo, su Facebook ci sono oltre 2,38 miliardi di utenti attivi mensili. Il lavoro di controllo dei contenuti è affidato anche ad aziende esterne, come è spiegato in The Cleaners, inchiesta sulle migliaia di precari e giovani assunti dai colossi di internet per scandagliare e «ripulire» i social con turni lavorativi di dieci ore, durante le quali visualizzano e selezionano circa 25mila foto e video, segnalando quello che è inappropriato per le linee guida della piattaforma.

Come testimoniano gli stessi lavoratori, questo processo pone sulle spalle dei «pulitori» la responsabilità di scegliere di volta in volta come declinare le norme imposte a contesti geopolitici estremamente differenti tra loro, finendo per eliminare in quanto «contenuti violenti» i video di associazioni impegnate a denunciare i crimini di guerra in Siria. Così – grazie a una presunta neutralità e oggettività, la piú grossa piattaforma di informazione al mondo finisce per ostacolare chi è impegnato in prima linea contro Daesh.