Dove – nel vecchio continente – è oggi possibile mettersi in ascolto della sofferenza più intima e profonda delle persone, dell’entità vera del malessere che affligge la mente e il corpo dei singoli individui, schiacciati da logiche economiche globali falcianti? Dove captare soglie già oltrepassate di disadattamento, di solitudine, di mancata tollerabilità della vita?
In Lituania, per esempio, questa corrente sotterranea di dolore si trasmette nella nebbia, tra le sagome degli alberi spogli, mentre dal finestrino dell’auto sfilano velocissime e lente le case della periferia rurale di Kupiskis – secondo l’OMS – il luogo nella Ue con il più alto numero di suicidi.

Con questo movimento filmico politicamente attivo, Busiu Su Tavim (I’ll stand by you), di Virginija Vareikyte e Maximilien Dejoie – al Trieste FF, conclusosi nei giorni scorsi anche online – mette a parte chi guarda degli itinerari in macchina, casa per casa, di Valija, psicologa, e di Gintare, poliziotta, unite nel supportare persone in stato di abbandono, e nel cercare di evitare gesti irreversibili.

Per rispetto e protezione, poi, interlocutori o interlocutrici non compaiono in campo, ma solo in voice over, o al telefono, mentre la camera si muove discreta tra vecchie carte da parati, oggetti vetusti e ritratti di cari scomparsi, oppure, in una sequenza avvolta dal silenzio notturno e da una tensione altissima, in forma di messaggi trascritti sullo schermo, mentre Valija, una tazza di tè dopo l’altra, cerca di trovare parole che possano risuonare credibili a chi è dall’altra parte, provando a farsi promettere che la persona non farà nulla almeno fino all’indomani.

E mentre la camera inquadra una cascata d’acqua che si raccoglie in una enorme cisterna, vengono nominate a pioggia le motivazioni più ricorrenti che – in un intreccio indissolubile di concause – possono far precipitare le vite: dal lutto all’insostenibilità del dolore fisico, all’angoscia psichica, alla paura di perdere l’indipendenza, fino all’impossibilità di pagare una multa, ultimo scoglio in una esistenza già insopportabile o, tra gli adolescenti, la solitudine, l’alcolismo, le difficoltà relazionali…

I fondi sono pochi, la politica addirittura talvolta irride il loro lavoro, ma Valija e Gintare, con la loro squadra di specialisti e volontari del servizio di soccorso psicologico telefonico, hanno creato una rete che ottiene risultati concreti e che diventa un modello per il resto del Paese.

A sostenerle, la loro professionalità, ma anche lo stesso humor, la stessa capacità empatica di trasmettere presenza – come nella scena in cui cantano in macchina, mettendosi il rossetto o quando sono le prime ad accogliersi l’un l’altra abbracciandosi sotto un gazebo mentre fuori diluvia.

Sono loro, con i loro volti franchi, il corpo forte e generoso di Gintare e lo sguardo attento e risoluto di Valija, a incarnare l’energia vitale di un documentario caloroso e essenziale, televisivo nel senso migliore del termine, colmo di quella insostituibile solidarietà umana di cui anche in Italia – dopo due anni di pandemia, una società lacerata e l’ingigantirsi della sofferenza psichica con relativo aumento dei suicidi – abbiamo un abissale bisogno.