Firmare il referendum per contrastare la riforma costituzionale che taglia il numero di deputati e senatori e ridimensiona il parlamento? Firmare per lasciare ai cittadini l’ultima parola, comunque la si pensi sulla riforma? Entrambi gli argomenti, gli unici due spendibili a testa alta dai senatori, sono spariti in questi ultimi due giorni di confuso balletto attorno al quorum minimo di firme indispensabile per chiedere il referendum. Che alla fine è stato raggiunto, ieri mattina, e questa volta il verbale di raccolta è stato velocemente depositato in Cassazione così da impedire ulteriori ripensamenti.

Chi ha tolto la sua firma nella penultima ora o ha deciso di aggiungere la sua solo all’ultimo minuto ha spiegato di farlo per blindare la legislatura, o per provare ad accelerare la crisi. Per spingere un altro referendum, quello elettorale, o per contrastarne l’ammissibilità, sulla quale deciderà la Corte costituzionale mercoledì. L’oggetto del referendum, la riforma costituzionale che amputa 345 rappresentanti del popolo (il 37% delle attuali camere), è sparito dal dibattito.

Del resto anche chi proverà a condurre una battaglia referendaria nel merito – mercoledì si costituirà un comitato del no – sa che sarà una campagna in salita, vai a spiegare oggi che il taglio dei parlamentari bisogna valutarlo con il metro della rappresentanza democratica e non con quello dei costi della politica. La maggioranza dei senatori che hanno firmato la richiesta di referendum – alla fine 71, di tutti i partiti tranne Fd’I – in parlamento ha votato a favore della riforma che adesso ha rimesso sub iudice.

Giovedì sera, mentre urlava la notizia della defezione dei senatori di Forza Italia vicini a Mara Carfagna, e del conseguente mancato raggiungimento delle 65 firme necessarie, altri 5 forzisti, 4 leghisti e un senatore di Leu stavano silenziosamente firmando, riportando il quorum in zona sicurezza. Ieri poi si è aggiunto un altro leghista. E si sono sfilati due del Pd e uno dei 5S. Un balletto. Alla fine il gruppo di Salvini, gli arcipopulisti che hanno votato quattro volte su quattro in favore del taglio dei parlamentari, è il secondo per contributo alla richiesta di referendum, dopo Forza Italia. Salvini ha spiegato così: «Abbiamo firmato per mandare a casa questo governo».

C’è una logica. Fino a che non ci sarà il referendum, e nel caso la vittoria dei sì, la riforma costituzionale che taglia i parlamentari non può essere promulgata. Dunque se si dovesse andare al voto anticipato sarebbe per eleggere ancora 630 deputati e 315 senatori. Il che aumenta le possibilità che la legislatura in corso si rassegni alla sua conclusione. Le legge del 1970 che regola il referendum, trascorsi i prossimi 30 giorni che la Cassazione può utilizzare per le verifiche formali, lascia al governo ampia discrezionalità nella scelta dei tempi del referendum. Al più presto si potrebbe tenere a fine marzo inizio aprile, al più tardi a giugno.

Se andasse per le lunghe ci sarebbe il tempo per il voto anticipato. Ma l’eventuale elezione di 945 parlamentari potrebbe essere messa fuori gioco – «delegittimata» è il termine che circola – da una successiva approvazione popolare del taglio delle camere. D’altra parte per votare con i nuovi numeri, dopo il referendum, bisognerebbe aspettare il disegno dei nuovi collegi elettorali, e così si arriva all’autunno quando le urne sono off limits perché c’è la sessione di bilancio.

Un garbuglio, c’è il rischio di un corto circuito istituzionale. Si aggiunge poi un altro argomento: i leghisti hanno appoggiato il referendum costituzionale anche perché sperano in questo modo di spianare la strada al loro referendum elettorale, quello per un sistema ultra maggioritario. Voci insistenti raccontano di una Consulta non più graniticamente contraria all’ammissibilità del quesito Calderoli. Ma se la riforma del taglio dei parlamentari fosse già entrata in vigore la prossima settimana (se cioè non fossero state raggiunte le firme per il referendum), altri argomenti giuridici si sarebbero aggiunti a quelli contro l’ammissibilità del referendum. Anche per questo Salvini ha dato ordine di firmare.