Lunedì sono atterrati all’Avana 35 volontari e volontarie dall’Italia per sottoporsi a uno studio clinico osservazionale sul vaccino cubano «SoberanaPlus» che ha immunizzato dal Covid-19 e le sue varianti, circa l’ottantacinque per cento dei cittadini dell’isola dai 2 anni in su. Il gruppo di volontari ha inoltre visitato il centro di produzione del «Soberana» oltre che quello di ricerca dell’Istituto di vaccini «Finlay» dove abbiamo incontrato il Dott. Yuri Valdés Balbín, vice direttore dell’Istituto.

Dottor Balbín, come nasce Soberana e che caratteristiche ha questo vaccino?
Soberana nasce dall’esigenza di proteggere il nostro popolo dalla pandemia che ha colpito tutto il pianeta, mettendo a frutto la nostra quasi trentennale esperienza nel campo della ricerca scientifica e permettendo ai nostri laboratori e alla nostra industria farmaceutica di produrre un siero efficace e con limitati effetti avversi. Per questo abbiamo prima prodotto il Soberana01 poi lo “02” nato come vaccino pediatrico e, da settembre, il “Plus” pensato per pazienti convalescenti e sviluppato poi come “booster” di richiamo per chi ha già altre due dosi. È un vaccino che agisce a subunità proteica e, ad oggi, non ha registrato effetti avversi gravi.

Come è stato accolto dal popolo cubano questo vaccino?
Questa estate abbiamo avuto una pesante recrudescenza di contagi perché avevamo serie difficoltà nell’approvvigionamento delle materie prime per produrre il vaccino che, per il 98%, dobbiamo importare dall’estero. Quando siamo riusciti a partire con una campagna vaccinale di massa il nostro slogan è stato “la fuerza de un pais” perché è stato davvero uno sforzo collettivo. Qui, alla Finlay, lavorano circa 850 persone, tra scienziati, medici e personale tecnico. Molti di noi, per mesi, hanno lavorato anche 14-16 ore al giorno per sviluppare il siero e poi per produrre le milioni di dosi necessarie ad immunizzare il popolo cubano.

Il popolo cubano come ha reagito alla campagna vaccinale?
Quando abbiamo reso disponibile Soberana01 i primi a vaccinarsi siamo stati noi, il personale della Finlay, e così è stato con il “plus” quando siamo partiti con la vaccinazione pediatrica (in pediatrica con per gli adulti, lo schema è due dosi di Soberana02 e una dose del Plus). I primi bambini ad immunizzarsi sono stati proprio i nostri e le nostre figlie. Questo ha dato una grande sicurezza al popolo cubano che ha aderito in massa alla campagna. Il concetto di “soberana” (sovranità) non è solo patriottico perché, per noi, la “patria” è l’umanità e siamo consapevoli che da questa pandemia possiamo e dobbiamo uscirne tutti e tutte insieme.

Per questo è stata lanciato lo studio clinico “SoberanaPlusTurín”?
Il progetto dei volontari italiani oltre ad essere un grandissimo gesto d’amore verso il popolo cubano ci permetterà di avviare un tentativo di commercializzazione del nostro vaccino anche fuori dall’isola. Per questo oltre a ringraziare gli italiani che si sono offerti per questo studio clinico osservazionale mi sento in obbligo di dire un enorme “grazie” anche al dottor Fabrizio Chiodo, ricercatore italiano, che collabora con il nostro Istituto dal 2014, e l’ospedale Amedeo di Savoia di Torino che ci aiuterà nella ricerca e nella raccolta dei dati clinici dello studio.

Lei ha parlato delle enormi difficoltà nell’approvvigionamento delle materie prime, le cause sono riconducibili all’embargo economico statunitense?
Più che di embargo è più corretto parlare di “bloqueo”, di blocco, normato da leggi molto severe che il governo degli Stati Uniti impone a tutti coloro che tentano di commerciare con Cuba. Le sanzioni sono, per questo, pesantissime. Per reperire le componenti fondamentali per produrre Soberana abbiamo dovuto inventarci delle “strategie” per aggirare il blocco con più passaggi commerciali così da non compromettere chi ci ha venduto i prodotti necessari evitando il rischio di poterci trovare senza qualche componente indispensabile per la realizzazione del vaccino. È stato uno sforzo enorme, anche dal punto di vista economico, per un paese povero come il nostro. Però lo abbiamo fatto perché crediamo che la salute sia un diritto umano, inalienabile.