Da sempre le indagini ermeneutiche di Stefano Agosti si configurano come un corpo a corpo concretissimo con l’oggetto letterario, e testo o testualità sono infatti veri e propri mots-clés ritornanti nei titoli dei suoi lavori, a partire per esempio da Il testo poetico (Rizzoli 1972). Già lì la lettura della poesia si configurava tuttavia – attraverso l’auscultazione finissima del suo scheletro fonico, del significante – come il tentativo di inoltrarsi in una sorta di oltre-testo, in luoghi «non giurisdizionali» del linguaggio, se è vero che proprietà specifica della parola poetica risulta – come ha scritto altrove Agosti, pensando al suo Lacan – la capacità di «esprimere, di manifestare, di trasmettere ciò che non sta nell’ordine del discorso».

Non potrebbe esserci allora, per il critico, oggetto d’elezione più adatto di Arthur Rimbaud, che dichiarava – nella Lettre du voyant – la propria stessa alienazione anche come condizione di prigionia dentro il linguaggio: «Je est un autre».

L’autore della Lettre è appunto il poeta cui Agosti dedica ora Rimbaud Le vocali, la parola notturna (il Saggiatore «le Silerchie», pp. 70, € 16,00). Al centro di questa «lettura-decifrazione» sta uno dei testi in assoluto più noti dell’intera avventura della lirica moderna, ovvero il sonetto delle Vocali («A noir, E blanc, I rouge, U vert, O bleu: voyelles»), il cui autore è guidato, spiega Agosti, dal tentativo di «condurre la propria esperienza verbale al di là del pensiero e del linguaggio comunemente riconosciuti e acquisiti come ‘normativi’». E così come il suo poeta, anche il critico tenterà di svelare e dire, delle misteriose vocali-simbolo, l’Origine enigmatica («Je dirai quelque jour vos naissances latentes»). Il meccanismo del sonetto è qui smontato non solo attraverso una accurata descrizione del profilo formale del testo – si veda l’attenzione alla testura delle rime, alle simmetrie costruttive rilevabili fra quartine e terzine, e soprattutto all’«incessante invenzione lessicale» messa in atto da Rimbaud, sintomo della «forte tensione mentale» che anima il sonetto – ma soprattutto mediante un insistito ‘lavoro di contesto’.

Sono diversi, in effetti, i luoghi poetici rimbaudiani sollecitati da questa lettura: a partire dallo splendido Bateau-ivre, per arrivare soprattutto a quei Poètes de sept ans che – impegnati in una loro fenomenologia dell’Inizio – forniscono la chiave di lettura principale per il sonetto delle Vocali, una chiave scatologica (sono le «latrines», nei Poètes, il luogo eletto dell’infanzia, fra i cui afrori si perde l’io-bambino): è la deiezione a dettare insomma la struttura figurale di Voyelles, per Agosti, che sfrutta anche un bestemmiatorio frammento della Saison en enfer (poi accantonato da Rimbaud, e non salito a testo): «Le soleil souverain donnait une merde au centre de la terre». E a chiudere il cerchio con la Omega dell’ultima terzina di Vocali sta allora una A che rimanderebbe a àfodos, la parola greca che dice appunto ‘escremento-latrina’.

Ed è proprio questa filigrana alfabetico-simbolica antica la maggior trouvaille di Agosti, se la I rimanda allora a Ichòr – sangue – e la U a Hydor – acqua – in una «piccola cosmogonia fisico-antropologica» che induce alla «dissacrazione della invalsa connotazione metafisico-sacrale dell’origine» (e con una trama greca ben coerente con la formazione di Rimbaud, se il giovane Arthur, a scuola, otteneva per due volte il primo premio in version grecque).

Non stupisce peraltro, per inciso, che il decifratore di questo testo rimbaudiano sia anche uno dei più straordinari lettori di un poeta come Andrea Zanzotto, che a più riprese ha tratteggiato i contorni di una propria Escatologia-Scatologia, appoggiandosi proprio al «rayon violet de Ses Yeux» che chiude le Voyelles per una sua altrettanto oscura lirica, Microfilm (in Pasque, 1973). Impegnato forse anche lui, come Rimbaud, in quella che Agosti definisce qui una «drammatica quête dell’originario», messa a fuoco nella seconda lettura del volume, dedicata alle due quartine di Est-elle almée?: nel presentimento di un Rimbaud ormai ultimo, quello delle Illuminations, a occupare la scena è ora la ricerca di una parola «che precede il silenzio di tutte le parole».