Il Labour party dell’era Corbyn si legge parafrasando la celebre frase gramsciana: il vecchio partito muore e quello nuovo non riesce a nascere. O forse ci riuscirà solo scindendosi. Il “colpo di partito” sferrato al leader settimane fa attraverso la plateale e maggioritaria sfiducia che avrebbe dovuto indurlo a dimettersi non ha fatto che rafforzarlo, provocando un’impennata della sua popolarità presso la base. E ora che la candidatura alla leadership di Angela Eagle è crollata miseramente dinanzi a quella avanzata dall’ex ministro ombra per il lavoro e le pensioni Owen Smith, finora oscuro deputato gallese quarantaseienne con un passato d’impresa, si riparte con le primarie. Dopo aver ottenuto meno nomination del rivale presso i deputati, Eagle si è fatta da parte martedì promettendo lealtà nei confronti di Smith. Che ora sarà l’unico a sfidare Corbyn nel prosieguo di una campagna ricominciata a meno di un anno dal quasi plebiscitario avvento del contestato leader, la cui rielezione sembra del tutto probabile vista la crescita esponenziale di iscrizioni al partito nei giorni scorsi.

Sarà dunque Mr Smith, che non era deputato al tempo dell’invasione dell’Iraq e dunque, contrariamente a Eagle, non avrebbe votato a favore nemmeno volendo, a vedersela con Corbyn. La cui ricandidatura automatica, senza cioè bisogno del sostegno del 20 per cento di deputati come da equivoca lettura dello statuto del partito, era stata decisa la settimana scorsa dopo un’infuocata riunione del Nec, il comitato esecutivo. Forse per scongiurare una vittoria di Corbyn ancora più imbarazzante per i suoi avversari, nella stessa seduta il Nec aveva introdotto delle clausole strampalate: soltanto chi si è iscritto al partito prima del 12 gennaio avrebbe avuto diritto di voto, mentre l’ultima ondata di nuove iscrizioni sarà valida solo qualora ci si re-iscriva pagando 25 sterline (anziché le precedenti tre) e solo dal 18 al 20 luglio. I risultati del voto saranno resi noti dopo lo scrutinio, il prossimo 24 settembre.

Un passato di giornalista presso la Bbc e di lobbysta per mega case farmaceutiche come la Pfizer, Smith è stato costretto a smentire di aver mai sostenuto che l’Nhs, la sanità pubblica nazionale, avesse bisogno di privatizzazione. Il Times di ieri pubblicava una sua dichiarazione del 2005 che andava proprio in questo senso e che lui si è affrettato a smentire. Cosa che non ha impedito ai corbynisti di definirlo “un astuto voltagabbana televisivo, che ha fatto lobby per i grandi gruppi farmaceutici e Tony Blair”. Smith, che si è autodefinito altrettanto radicale di Corbyn, ha promesso all’attuale leader la presidenza del partito in caso di vittoria. “Jeremy è stato bravissimo a identificare alcune delle domande e delle sfide che dobbiamo porci, non altrettanto a identificarne le soluzioni. E non è un leader” ha ribadito, echeggiando Eagle.

A quasi un mese dal referendum e dal tentato golpe ai suoi danni, Corbyn ha intanto rimesso mano nel suo emorragico governo ombra, designando Emily Thornberry nel ruolo di ministro per il Brexit – la carica che la neo-prima ministra Theresa May ha creato e affidato all’euroscetticissimo David Davis – e che la stessa Thornberry sommerà a quella di ministro degli esteri ombra, che già detiene. Lunedì scorso, durante il dibattito in aula sul rinnovo del programma nazionale di sottomarini nucleari, poi stravinto dalla maggioranza grazie a un consistente appoggio dei deputati del suo stesso partito, Corbyn ha pronunciato parole contro la deterrenza e per il disarmo unilaterale mai udite dallo scranno di un leader dell’opposizione. Parole che, oltre a far inorridire molti parlamentari laburisti – il partito è favorevole alle armi nucleari fin dai tempi di Clement Attlee, nel 1945 – hanno fatto ancora aumentare il plauso della base del partito, evidenziando ancora una volta il golfo che si è aperto fra il partito reale e i suoi rappresentanti a Westminster. Mentre una ricerca della Lse getta luce statistica sul monumentale lavoro di discredito ai suoi danni ingaggiato da tutti i giornali, un’operazione di sistematica delegittimazione attraverso attacchi personali, mancata descrizione del programma politico, insinuazioni di simpatie terroristiche e l’immancabile antisemitismo.