A Garbatella, il Palladium straripa e sul marciapiede c’è gente intorno all’altoparlante da cui arriva la voce di Pepe Mujica. Per l’uscita del libro Una pecora nera al potere (Andres Danza ed Ernesto Tulbovitz, ed. Lumi), l’ex tupamaro ed ex presidente dell’Uruguay sta tenendo una conferenza agli studenti sul rapporto tra Giustizia sociale e felicità. A presentare l’incontro, il vicepresidente della Regione Lazio con delega alla scuola, Massimiliano Smeriglio.

Come mai questa iniziativa?

Nell’anno di questo strano giubileo, seppur da non credenti, abbiamo organizzato diversi momenti di riflessione sul tema del rapporto tra felicità e modello di sviluppo. Abbiamo invitato economisti dell’area di Bernie Sanders, il cardinal Ravasi, Giuliano Amato. Mujica ci sembrava la persona – la biografia – più interessante per avvicinare i ragazzi sul connubio tra giustizia sociale e felicità individuale, perché ha prodotto e praticato una idea di governo più avanzata di tante realtà europee. L’idea di un incontro sul modello di sviluppo, su come l’economia non sia sufficiente a garantire la felicità e l’emancipazione delle persone, ci sembrava il punto decisivo di questo percorso

Che cos’ha a che vedere l’America latina che scommette su governi partecipati e che cerca di portare a sintesi le istanze dei movimenti popolari – da cui pure lei proviene – con questo sistema che invece li taglia fuori dalle decisioni?

Niente, questo violentissimo vento di verticalizzazione dei processi decisionali in Europa spira in modo devastante, e ne risente anche l’America latina. Per questo, l’Uruguay, rispetto ad asperienze più tradizionali del socialismo del XXI secolo, investendo molto sulle comunità locali, la responsabilità individuale e il meccanismo dell’autogestione, è per noi quella più importante e rilevante, perché non consegna solo al governo, al potere, la responsabilità del cambiamento ma la riporta costantemente anche ai singoli, agli uomini e alle donne: non quindi una delega assoluta ai processi decisionali, ma un corpo a corpo. Essendo un paese più piccolo e meno importante di altri è quello che gode della nostra massima curiosità e attenzione.

Una volta anche lei è stata una “Pecora nera nel potere”, ora ha accettato gli schemi?

Penso che l’importante sia non disperdere la propria anima. Ieri abbiamo fatto una conferenza con tutti gli enti di ricerca delle università pubbliche del Lazio. Abbiamo costruito un piano di 170 milioni di euro sul modello di sviluppo fondato sulla conoscenza, e oggi questa iniziativa. Martedi, qui davanti, agli ex bagni pubblici, dopo un’occupazione, la regione è intervenuta e costruirà una biblioteca e un centro culturale di quartiere bellissimo: si può a fatica continuare a essere pecore nere e continuare ad agire le leve – quelle poche rimaste nelle mani delle istituzioni locali – per provare a cambiare alcune cose, la iniziativa di oggi è un sasso nello stagno per non delegare tutta la gestione dei governi locali alla tecnocrazia o all’amministrazione. Noi pensiamo sia possibile cercare di cambiare le cose dal basso anche attraversando i nessi amministrativi.

Dall’america latina e anche dal papa arriva un messaggio preciso: quando la legalità è ingiusta, perché nega i diritti elementari, si lotta o si disobbedisce. A Roma, come in tutto il resto dell’Italia, invece, gli spazi sociali e le case occupate vengono cancellati. Come la vede?

La vedo male. Ieri abbiamo incontrato i ragazzi straordinari di Ciudad Futura, un collettivo argentino della città di Rosario che si presenterà alle elezioni e ha possibilità di vincere, ed era presente all’incontro mondiale dei movimenti popolari con il papa. Il problema è che nessun movimento popolare italiano era presente all’incontro col papa. C’è una fortissima difficoltà. Mentre fino a 10 anni fa eravamo i protagonisti di questi processi mondiali, il nostro paese vive oggi un arretramento grande e forse anche un abbaglio: perché il discorso che fai io lo farei a tutti quei compagni che hanno creduto nel cambiamento pentastellato. I 5S, invece, o rinunciano per paura di sbagliare o di imbrogliare o si rifugiano in una idea di legalitarismo astratto, che non ha nulla a che vedere con la giustizia. Noi apriamo questa biblioteca dopo una occupazione, una sollecitazione, io penso che questo culturalmente il Movimento 5S non è in grado di farlo ed è una grande preoccupazione per questa città.

Dai movimenti popolari arriva una difesa forte di quei paesi che, come il Venezuela hanno scommesso su un cambiamento strutturale basato sulla democrazia partecipata. Dall’Italia e dall’Europa, invece, arrivano attacchi, menzogne e colpi bassi. Qual è la sua opinione?

Tutte le esperienze di democrazia popolare e partecipata, quelle del socialismo del XXI secolo, sono un patrimonio gigantesco che il Sudamerica ha messo a disposizione del mondo, e vanno difese tutte. Poi, c’è un dibattito interno. In Venezuela, la morte drammatica di un leader straordinario come Chavez ha messo quell’esperienza all’interno di un passaggio difficile, esposta agli appetiti dei grandi poteri internazionali, ma questo non giustifica le ingerenze degli Usa e dell’Europa.

Le costituzioni latinoamericane del secolo XXI mettono al centro la democrazia partecipata. Da noi si avvicina il referendum.

Bisogna votare no convintamente, battere ko il governo Renzi rispetto alla verticalizzazione del modello decisionale, senza però raccontarci che questo sia il migliore dei mondi possibili: perché c’è un tema gigantesco, noi non possiamo essere appiattiti sulla conservazione di un modello che continua a non piacerci, anche a costituzione vigente. Nel ’56 Calamandrei parlava di costituzione inattuata, io penso sia un tema contemporaneo, abbiamo una costituzione non attuata soprattutto nel senso dei valori universali. Dobbiamo ricostruire quello spirito costituente e portare quelle battaglie sui temi del contemporaneo: il salario, il reddito, la qualità della vita delle persone, sennò rischiamo di consegnare ai tecnocrati e alle donne e agli uomini del Si tutto il tema dell’innovazione e del cambiamento e sarebbe un errore drammatico.