«Siamo in campo, essere riammessi alla corsa per Roma è stata una gran notizia, ora dobbiamo fare un grande risultato. A Roma con Fassina e nei municipi. Ora pancia a terra senza se e senza ma».

Massimiliano Smeriglio, vicepresidente della Regione Lazio, è uno dirigenti di Sel meno vicini, ma è un eufemismo, a Stefano Fassina: governa in alleanza con il Pd di Nicola Zingaretti, auspica la sconfitta di Renzi per il ritorno al centrosinistra e fino all’ultimo tifava per Tocci o Bray, insomma per un altro candidato, «ma per allargare il consenso», giura.

Fassina annuncia che non ci sarà «nessuna convergenza» né con M5S né con il Pd. E il Pd «è un nemico» per Dario Vassallo, in corsa con voi. Lei notoriamente non è d’accordo.

Non sono d’accordo con la categoria del nemico. Ma a uomini come Vassallo dobbiamo rispetto. La vicenda del fratello Angelo è una tragedia, indagare le connivenze tra criminalità, affari e politica è compito non solo dei pm. Dario ha ragione a chiedere parole chiare innanzitutto dal Pd campano.

Resta il fatto che lei guarda ancora al centrosinistra. È così?

Nessuno a Roma ha cercato l’alleanza col Pd dopo la vicenda Marino. È una favola, la usa chi vuole creare il nemico interno. Ho sempre espresso pubblicamente le mie idee. Discuto con passione nello spazio in cui io ho sempre militato, la sinistra.

Non ha cercato di fare l’alleanza con il Pd?

Ripeto: non dopo la vicenda Marino. E invece, ma non solo io, abbiamo cercato di allargare il nostro campo. Con Bray, Barca e Tocci sarebbe stato bello. Il tema è sempre stato a quale elettorato rivolgersi. Discussione da fare insieme, non per creare fratture ma per raggiungere il massimo del consenso. Non sono di sinistra le organizzazioni con un uomo solo al comando.

Ce l’ha con Fassina? Non avevate fatto pace?

Io non ho mai litigato con nessuno. Resta che vorrei discutere senza dover sempre essere sospettato di tradimento o di complotto. È incredibile: se si esprime un dissenso si diventa gufi, si è accusati di scommettere sulla sconfitta. Chi ricorda? Renzi. Il Pd tiene insieme Cuperlo e Lotti. Noi non possiamo essere meno democratici di loro. Il pluralismo è anche un modo per massimizzare il consenso.

Inizi lei, non dia del minoritario a chi non vuole più allearsi col Pd.

La discussione sulle alleanze inizia da come battere Renzi. Tenendo la barra sul referendum: se vince il ’no’ cambia tutto il quadro politico italiano. O c’è chi pensa che se vinciamo il referendum tutto resta come prima? E non è tema che riguardi solo le alleanze. Riguarda noi: Sinistra italiana dovrà essere il partito anche di Laura Boldrini, Pisapia, Zedda, Doria.

Dipenderà anche dalle loro scelte.

Anche dalle nostre. Ma se ne discuterà al congresso, coinvolgendo tutti gli iscritti, magari facilitando le iscrizioni per non dare l’idea di un partito di quadri con qualche spruzzo di web modello 5 stelle. Discutiamo di Europa, euro, di tutto. Ma fino ad allora dobbiamo usare il metro della verifica delle cose fatte, non quello delle parole. Bene l’appello identitario: ma a Roma non basta parlare a noi convinti, serve cercare una connessione con i 70mila potenziali elettori. Bene recuperare i delusi di Sel, ma soprattutto parliamo ai delusi Pd.

Lo dica: nel caso al ballottaggio darà indicazione per Giachetti?

Siamo concentrati sul 5 giugno. Tutti ci giochiamo la credibilità sul consenso che riusciremo ad attrarre. Alla fine conterà l’ultimo numero in fondo a destra, cioè i voti presi. Dai nostri voti partiremo per il ragionamento sul dopo. Magari facciamo un miracolo e al ballottaggio andiamo noi. E questa sì che sarebbe una batosta per Renzi. E comunque: se le nostre liste avranno successo nei comuni e se al referendum si affermeranno i ’no’ si riapre una partita, che è poi quello che molti di noi volevano quando hanno fondato Sel. La partita di dare forza alla sinistra diffusa e plurale del paese, ridargli credibilità. E consenso.