Massimiliano Smeriglio, eurodeputato eletto col Pd, l’aumento delle spese militari divide i dem dal M5S. Uno scontro su un tema non marginale per la sinistra.

A me pare che il presidente ucraiano russo Zelensky, quando ha parlato alle nostre camere, sia stato molto più lungimirante di tanti leader nostrani nel capire il ruolo che può svolgere l’Italia in questa crisi. Penso che il colloquio con papa Francesco abbia influito.

Eppure nel dibattito italiano si parla quasi solo di armi.

Vorrei evitare che si facesse una discussione poco utile per il paese aggredito, con l’obiettivo tutto interno di colpire chi osa esprimere posizioni pacifiste. Questo sta succedendo anche dentro il campo progressista. Non mi sognerei mai di dare del guerrafondaio a chi ha deciso di inviare armi in Ucraina. Vorrei però più rispetto per chi pensa che l’Italia e l’Ue debbano svolgere un ruolo diverso.

Quale?

La nostra funzione strategica è diplomatica e di sostegno ai civili. Purtroppo la discussione sull’invio di armi in Ucraina e sull’aumento delle spese per la difesa si è sovrapposta, creando confusione. Fino a decidere di aumentare le spese militari sull’onda emotiva. Sono decisamente contrario. L’obiettivo deve essere razionalizzare la spesa nell’ottica di una difesa comune europea, non spendere di più. La guerra e le sue conseguenze economiche rischiano di mangiarsi una buona fetta dei fondi del Pnrr, di incidere pesantemente sulla programmazione. Se a questo aggiungiamo il rialzo dei costi dell’energia e delle materie prime è evidente che le risorse vanno concentrate altrove.

Se M5S si sfila il governo rischia?

Questa strana maggioranza è nata per fronteggiare l’emergenza Covid. Ora si è aggiunta un’altra grave emergenza, dunque consiglierei prudenza. Il governo deve portare l’Italia al voto tra un anno, ma questo non significa che non si possa discutere di temi così importanti. Direi che è normale farlo.

Lei sta con Conte sul no all’aumento delle spese militari?

Il nostro ruolo è aiutare i civili rimasti in Ucraina, sostenere il lavoro delle ong, accogliere i profughi. E recuperare una terzietà dell’Ue che non può essere un sinonimo della Nato. Siamo credibili sui tavoli diplomatici se abbiamo una agenda autonoma. È un errore lasciare il pallino della mediazione ad altri autocrati come Erdogan o la Cina, o ad altri soggetti come Israele. Terzietà non significa fare confusione tra gli aggressori e gli aggrediti, ma il nostro governo dovrebbe essere più prudente, pesare le parole.

Questo non sta accadendo. Draghi ha paragonato Putin a Hitler e Mussolini.

Un paragone improprio, anche perché in questi 20 anni tanti leader, progressisti e conservatori, per non parlare delle imprese occidentali, hanno avuto stretti rapporti con Putin. Se sostieni che hai davanti Hitler la conseguenza è entrare in guerra. Nel mondo ci sono molti autocrati, se dovessimo inviare armi in ogni scenario si arriverebbe a una escalation pericolosa.

Quali sono i limiti dell’azione europea?

Benissimo le sanzioni, ma sul piano politico non siamo abbastanza incisivi. In questa crisi l’Unione si gioca la sopravvivenza come soggetto autonomo sulla scena internazionale. Giusto essere duri con Putin, ma un filo di trattativa deve rimanere: la soluzione si trova solo portando allo stesso tavolo russi e ucraini.

Il Papa ha detto di provare vergogna per i paesi che decidono di spendere di più in armi.

La sua è una critica radicale che apprezzo e condivido. Riguarda sia l’approccio a questa crisi, sia l’impatto sociale dell’aumento delle spese militari.

Il Pd è troppo bellicista?

Rispetto le posizioni del Pd, capisco la difficoltà di questo passaggio. Ma non accetto una levata di scudi contro chiunque esprima un pensiero diverso, siano intellettuali o giornalisti. È in corso una caccia alle streghe pacifiste che va fermata subito.

Teme una estensione della guerra?

Sono molto preoccupato, nelle parole di Stoltenberg vedo una ulteriore escalation. Ci sono attori, anche nel campo europeo, che hanno un atteggiamento che può favorire un incidente. Per questo è giusto che la difesa dei confini a est dell’Ue non sia lasciata a singoli paesi, come la Polonia, ma regolata da meccanismi interforze.