Massimiliano Smeriglio, europarlamentare eletto con il Pd, ex vice di Zingaretti alla regione Lazio, è stato tra i primi a proporre un rapporto strategico con i 5 stelle per il governo. Ma non per il comune di Roma, dove invece è tra i più attivi nella ricerca di un’alternativa di centro sinistra a Virginia Raggi.

Smeriglio, perché l’alleanza che va bene per il governo non va bene per la capitale?
Siamo da quattro anni all’opposizione di una giunta che ha avuto effetti devastanti sul corpo e sull’anima della città, al punto da minacciare l’immagine di Roma nel mondo. Dobbiamo essere pronti a raccogliere la sfida, la palla è nel nostro campo. Un rapporto strategico con il movimento 5 stelle a Roma non ci può essere, porterebbe a una sconfitta sicura. Gli elettori di sinistra ne uscirebbero confusi. Bisogna dare fiducia alla coerenza mantenuta in questi anni.

Ripresentandosi, Raggi vi ha tolto dall’imbarazzo?
In realtà l’alleanza al primo turno sarebbe stata una scelta sbagliata anche dal punto di vista tattico, per come funziona la legge elettorale. Una forma di desistenza si può immaginare per il secondo turno per battere i nazionalisti che a Roma sono forti. In fondo con i 5 stelle governiamo il paese e abbiamo un avversario in comune.

Con quale candidata o candidato correre, visto che il Pd ancora non ne parla e chi è stato nominato ha già detto no, grazie?
Intanto non si parte sconfitti, il centrosinistra largo è un soggetto competitivo in città, basta prendere i risultati delle europee. Ora bisogna preoccuparsi di accendere i motori e mobilitare il nostro campo. Per carità, se ci fosse stata la disponibilità di qualche protagonista di primo piano in grado di tenere insieme la dimensione locale e quella globale ne sarei stato felice. Ma così non è, allora penso che si debba dare fiducia a una classe dirigente cittadina che in questi anni è cresciuta.

In concreto?
Immagino un percorso a tappe. Prima la sottoscrizione di un manifesto dei valori del campo democratico e progressista, poi gli stati generali delle idee della coalizione e infine ma entro l’anno le primarie tra tre o quattro candidati. Per evitare che diventino il giochino della visibilità di sfidanti senza radicamento, si dovrà prevedere una regola: almeno cinque o seimila firme a sostegno della candidatura. Non sono troppe visto che per vincere bisogna prendere un milione di voti. Le primarie sono indispensabili ma devono servire a unire, non a frammentare.

Chi dovrebbe partecipare a queste primarie?
Per campo democratico e progressista largo intendo, almeno in partenza, tutti quelli che non vogliono consegnare la città ai nazionalisti di Meloni e Salvini e che sono rimasti scottati dall’esperienza Raggi. Non bisogna avere un atteggiamento escludente rispetto a chi quattro anni fa ha votato 5 Stelle perché deluso dalle esperienze di centrosinistra, ma poi si è pentito. Bisogna dare loro il benvenuto, avere un’impostazione aperta e seguire un percorso partecipato.

Chiunque sarà la prossima sindaca, o il prossimo sindaco, avrà un compito assai difficile visto lo stato della città.
Per questo penso che prima delle elezioni i candidati della destra, dei 5 Stelle e del campo progressista dovranno stringere un patto tra loro su almeno tre questioni. La Capitale deve avere uno statuto speciale che riconosca al consiglio poteri legislativi sul tipo di quelli della regione. Deve avere garantite tutte le risorse necessarie. E serve un nuovo modello di area metropolitana e autonomia municipale: senza un ruolo forte delle istanze di prossimità, dei municipi come dei comitati di quartiere, una città grande come Roma non si gestisce.

Manca solo il nome della candidata, o del candidato, a queste primarie.
È presto per i nomi ma non bisogna morire di tatticismo, seguo con attenzione il percorso del movimento Liberare Roma. A settembre ci sarà la festa Visionaria e nel programma spicca un bel confronto tra Monica Cirinnà e Amedeo Ciaccheri. Sarò in prima fila.