“Sono qui per presentare un’offerta vincolante, assistita da garanzie finanziarie”. Se quello di Khaled al Habahbeh è un bluff, va dato atto al manager giordano di avere nervi d’acciao e una buona dose di coraggio. L’arrivo del rappresentante del gruppo arabo Smc in Val di Cornia e la conferenza stampa nel pomeriggio a Venturina sono state due autentiche sorprese. Tali da non chiudere ancora del tutto la porta alle speranze di un futuro produttivo per le Acciaierie. Anche se non è svanito l’incubo di una cassa integrazione generale per migliaia di operai diretti e dell’indotto ex Lucchini, visto il già annunciato stop del commissario governativo Piero Nardi ai rifornimenti per l’area a caldo. Con la conseguente fermata definitiva dell’altoforno alla fine di aprile.

Dal canto suo, durante l’affollatissimo incontro stampa, Khaled al Habahbeh non ha usato frasi di circostanza: “Confermo l’interesse della Smc nei confronti della Lucchini – ha spiegato – stiamo aprendo un conto in una banca interazionale a Roma per le garanzie. E ringrazio il governo italiano, che mi ha dato un visto per cinque anni per la mia attività di investitore”. Per il manager giordano, quella di oggi non è una toccata e fuga: “Rimarremo a Piombino la prossima settimana, per preparare l’offerta che sarà pronta in quattro, cinque giorni. Vorrei andare via dopo aver firmato con il commissario Nardi”.

Le parole di Khaled al Habahbeh sono state chiare anche per Fiom, Fim e Uilm, che hanno apprezzato il suo arrivo in Italia e ora attendono, con più ottimismo, i prossimi passi della Smc. “Il presidente ha affermato di avere certezza al 100% delle garanzie finanziarie per l’operazione – spiega Vincenzo Renda della Uilm – quando avremo la certezza della presentazione dell’offerta vincolante, ci aspettiamo che il commissario straordinario convochi subito Smc per entrare in trattativa privata, e si affronti la questione delle materie prime. Perché non sarebbe tollerabile che, davanti a un progetto così importante, non si dia continuità all’area a caldo dell’acciaieria”.

Il concetto viene ribadito dalle tre parlamentari toscane di Sel: “Lo spegnimento dell’altoforno della Lucchini di Piombino – ricordano Alessia Petraglia, Marisa Nicchi e Martina Nardi – rappresenterebbe una tragedia per oltre tremila lavoratori e una sconfitta inaccettabile per la politica, chiamata oggi più che mai a dare risposte per scongiurare una delle maggiori crisi industriali del nostro territorio”. Di qui l’esplicita richiesta all’esecutivo Renzi: “Chiediamo al governo di mettere in campo ogni tipo di iniziativa utile a scongiurare l’interruzione dell’attività produttiva, e avviare nel più breve tempo possibile la riconversione, aprendo una fase nuova e iniziando da qui a delineare, finalmente, il sentiero di una nuova politica industriale per il paese”.

Anche i sindacati metalmeccanici, in testa Luciano Gabrielli della Fiom, considerano essenziale che le trattative per la cessione della ex Lucchini si sviluppino con gli impianti in marcia. Invece al ministero per lo sviluppo economico, fino a oggi, non si è andati oltre il pur meritorio accordo di programma da chiudere entro due settimane. Un accordo teso alla riconversione produttiva delle Acciaierie, con la sostituzione dell’altoforno con un impianto Corex e un forno elettrico. Conservando parte della cockeria e dei laminatoi, e attuando le sempre più necessarie bonifiche, per mettere in sicurezza ambientale un’area gigantesca. Quanto ai lavoratori, al Mise si dà per scontato o quasi il ricorso alla cassa integrazione di massa dopo lo stop dell’altoforno. Ma gli operai e i loro sindacati rifiutano questa ipotesi, che sarebbe disastrosa per migliaia di famiglie e per l’intera economia della Val di Cornia.