«Senza memoria, senza attenzione, senza la capacità di sollevare la testa, senza più pazienza, perfino senza più sorriso, cosa saremo? Che razza di uomo è quello che abiterà tra cinquant’anni la Terra?».
Lisa Iotti – giornalista e autrice di Rai3 – ci regala un libro ingannevole: la prosa fluida e vivace, narrativa può spingere a sottovalutarlo, a coglierne la superficie comportamentale, quasi folklorica. Invece 8 secondi. Viaggio nell’era della distrazione (Il Saggiatore, pp. 248, euro 19) è un testo necessario, preoccupato e preoccupante, che dall’epidermide dei nostri gesti quotidiani, dal rapporto quasi erotico con lo schermo dello smartphone, ci porta – tra neuroscienziati, studiosi del comportamento digitale e neuronale, informatici coscienti – al centro di un terremoto che può cambiare, definitivamente, l’homo sapiens sapiens. Dipendenza e gratificazione, in un circolo vizioso di dopamina e cortisolo, di ansia e depressione, di compulsione e ossessione. Iotti ci pone, senza cadere nelle facili trappole del moralismo nostalgico o di visioni apocalittiche, di fronte a una trasformazione profonda e dilagante dei processi conoscitivi, alla perdita delle capacità di concentrazione e a una caduta tendenziale e assai rapida della mediazione riflessiva.

È UN’ESPANSIONE PERVASIVA, i cui numeri fanno impressione: whatapp oggi «gestisce 65 miliardi di messaggi al giorno»; un utente medio «sblocca e usa il suo iPhone circa ottanta volte al giorno, quasi trentamila volte in un anno»; tocchiamo il nostro cellulare, in media, 2617 volte in un giorno. La quantificazione della perdita di attenzione (cioè della distrazione strutturale, a cui abbiamo dato l’accezione positiva di multitasking) non fa meno impressione; Gloria Mark – che Lisa Iotti definisce «una rockstar dell’antropologia digitale» e che insegna al dipartimento di informazione digitale dell’università della California – le racconta che dieci anni fa, in un ufficio, «le persone switchawano da uno schermo all’altro ogni tre minuti», oggi il tempo davanti a uno schermo sembra essere crollato a 40 secondi: «ogni 40 secondi l’attenzione si spezza e deve riprendere il fuoco». Per riprenderlo a pieno «ci vogliono circa 25 minuti».

GLI EFFETTI SULLA MEMORIA e sul pensiero sono evidenti e l’autrice li affida alla sintesi del filosofo Byung-Chul Han: lo smartphone «bandisce ogni forma di negatività: per suo tramite si disimpara a pensare in maniera complessa». Quello di Iotti lo potremmo definire un saggio autobiografico; in 8 secondi l’autrice fa i conti, prima di tutto, col suo «arto digitale». In un Paese in cui si pensa che la didattica del XXI secolo sia distribuire tablet o montare le Lim nelle aule, più che costruire strumenti critici per governare processi immensi e profondi, è un testo che dovrebbe esser letto in quelle stesse aule, insieme ai nativi digitali, come occasione di comprensione comune, di analisi della fretta e del suo impatto sulla conoscenza e sul pensiero. E con quello sulla propria vita emotiva, perché, dice Catherine Price (citata alla fine del volume) il telefono «è il tipico partner di una relazione disfunzionale», che bisogna saper gestire, o da cui si deve essere liberi di uscire.