In Africa cresce sempre più l’idea della costruzione di nuovi quartieri e nuove città caratterizzate da tecnologia, sicurezza, lusso. Smart cities avvenieristiche dai nomi accattivanti come Eko Atlantic (Nigeria), Konza Techno City (Kenya), Tatu City (Kenya), Modderfontein (Sudafrica) New Cairo (Egitto), crescono e si sviluppano intorno alle grandi capitali come Il Cairo, Nairobi e Lagos. E anche la congolese Kinshasa non fa eccezione alla regola.

Qui durante le messe e gli incontri dei gruppi di preghiera nelle onnipresenti chiese pentecostali carismatiche, i fedeli sono esortati dal pastore a fare dei regali a Dio. Questi atti di dono (doni comunemente noti come nsinani, mabonza o dîme) si riferiscono all’idea biblica di dare la decima dei propri beni a Dio. I credenti (bandimi) «seminano» questi doni in modo che Dio possa ricompensarli dieci volte tanto.

In questo modo si possono osservare persone che «seminano» orologi, gioielli, diamanti, denaro e perfino automobili per ottenere da Dio un miracolo: un lavoro, un matrimonio, una guarigione, dei figli, prosperità e, molto spesso, una casa migliore. In quest’ultimo caso, i predicatori spesso dicono che «Dio usa questi doni per costruire ville per noi in Paradiso». Chi non contribuisce (o non va in chiesa) si ritroverà ad avere una casa incompiuta quando andrà in Paradiso. Perciò «ti prego, dai liberamente, prepara oggi la tua casa in Paradiso. Dare è come seminare il seme. Dare è conservare».

Intanto la maggior parte dei Kinois (gli abitanti di Kinshasa) le ville le vedono solo al di là dei cancelli che le circondano. L’abitare diventa così, come spiega Filip De Boeck nel suo bellissimo Death and the City. Necrological notes from Kinshasa, qualcosa che avverrà nell’aldilà.

La morte diventa una condizione per accedere all’abitazione e alla città stessa. Le attuali trasformazioni urbane della città e la loro finanziarizzazione sono in misura significativa orientate dal mercato e la produzione dello spazio si basa sulla logica dell’aumento dei profitti, con conseguenti processi di gentrificazione ed esclusione delle masse urbane più povere dal nucleo urbano, mentre il carattere sociale e il ruolo regolatore dello Stato sono sminuiti a causa della crescente privatizzazione dei servizi.

La città diventa così una sorta di manufatto extra statale. Si tratta di un processo realizzato a partire dalla presidenza di Joseph Kabila, quando la propaganda di Stato presentava la città come un modello ideale per realizzare l’immagine di un Congo come «specchio dell’Africa». Il progetto dei 5 Chantiers (cantieri) in seguito definiti come «la Rivoluzione della Modernità» era orientato a realizzare una città scintillante. È il caso, ad esempio, del progetto della Cité du Fleuve: 600 ettari, 200 ville, 10mila appartamenti di lusso, 10mila uffici, un porto turistico, scuole, cinema, ristoranti e sale conferenze.

Tuttavia, nonostante l’estetica brillante la Cité du Fleuve non è una città: la preoccupazione per la sicurezza, il controllo e la pulizia mirano a tenere la città fuori, contrariamente a quello che era l’ideale inclusivo della città moderna. Inoltre, queste città sono pensate come investimenti fatti da fondi speculativi per recuperare i crediti che hanno nei confronti dei governi.

La città così, anziché essere luogo dell’incontro e dell’integrazione tra gruppi sociali diversi per livello economico, cultura e provenienza, si trasforma in una sorta di arcipelago costituito da molte isole, îles, segnate dalla qualità delle loro costruzioni, dalla presenza (o mancanza) di infrastrutture e servizi, dalle maggiori o minori condizioni di sicurezza.

L’effetto è un riposizionamento delle frontiere che una volta dividevano gli Stati all’interno della città: si separano quartieri per soli ricchi da quartieri per soli poveri. Quartieri dove la gente avrà una casa in cielo e quartieri con la casa in terra perché fatta solo di terra. Spetterebbe alla politica far incontrare queste due città, quelli di Kin la belle, quelli di Konza city, Eko Atlantic, Cité du Fleuve e New Cairo, con tutti gli altri, ma la distanza per chi non si riconosce è sempre troppo lontana.